Enciclopedia giuridica del praticante

 

Lezioni di procedura penale

03. Scienza privata, regole di esperienza, fatto notorio, prova legale.

Disc. Se davanti a un giudice si discute la causa in cui certo Pasqualino accusa certo Bacciccia di averlo ingiuriato dandogli del “cavilloso”, e fortuna ha voluto che il giudice sia stato presente al litigio, quale migliore prova il giudice potrà avere , di quel che è effettivamente passato tra i due litiganti, di quel che i suoi occhi e le sue orecchie gli possono dare? che bisogno c’è che il pubblico ministero e il querelante si affannino e perdano tempo a portare le prove di quel che il giudice già , per sua scienza privata, conosce?

Doc. – E invece il divieto per il giudice di attingere alla sua scienza privata – divieto che costituisce un principio non chiaramente espresso in nessuna norma del nostro Ordinamento, ma non per questo meno sicuro e indiscutibile – è giustificato da varie e ottime ragioni.

La prima è che le parti hanno diritto di conoscere gli elementi di fatto su cui il giudice può essere portato a fondare la sua sentenza.

Disc.- Perché?

Doc.- Perché solo conoscendo tali elementi le parti potranno discuterne la rilevanza giuridica. Mi spiego meglio, riferendomi all’esempio da te introdotto: nessuna prova è emersa nel processo che il buon Bacciccia abbia dato del cavilloso a Pasqualino, però il giudice con le sue orecchie ha sentito tale parola e …pronuncia una bella sentenza di condanna : perché ciò sarebbe ingiusto e lesivo dei diritti di difesa dell’imputato? Perché il suo difensore - che di fronte alla mancanza di ogni prova contro il suo assistito aveva laconicamente chiesto la sua assoluzione “ perché il fatto non sussiste” – se mai avesse saputo che il giudice aveva di persona sentita la parola “cavilloso” uscire dalla bocca del Bacciccia, si sarebbe comportato in maniera ben diversa.

Disc.- E come? che avrebbe potuto dire contro una prova così irrefutabile come quella che le sue proprie orecchie al giudice avevano fornito?

Doc.- Avrebbe se non altro potuto sostenere che il fatto non costituiva reato; avrebbe potuto sostenere che la parola “cavilloso” non costituisce un’ingiuria.

Disc. Se è questo l’inconveniente – voglio dire, l’inconveniente che comporterebbe l’utilizzazione della scienza privata del giudice – facile sarebbe trovargli il rimedio: si permette, sì, al giudice di attingere alla sua scienza privata dei fatti di causa, ma dopo averla comunicata alle parti : aperto il dibattimento, il giudice dichiara: io di persona ho sentito dire ecc.ecc.

Doc.- Certo, allora l’inconveniente da me prima denunciato , più non sussisterebbe; però, ne sorgerebbero altri.

Disc.- Quali?

Doc.- Primo inconveniente, quello che si verrebbero a cumulare nella stessa persona le funzioni di giudice e di teste; dato che è chiaro che non si potrebbe negare alle parti il diritto di porre delle domande al giudice : per sapere che cosa ha esattamente visto e sentito , per sapere se era in grado di vedere e sentire bene. Secondo inconveniente, quello che il giudice , facendo una dichiarazione inevitabilmente favorevole a questa o a quella parte, perderebbe la sua “imparzialità” , la sua capacità di valutare serenamente quelle ulteriori prove che pur potrebbero dimostrare ad un occhio più obiettivo l’eventuale errore di percezione in cui eventualmente egli fosse caduto.

Ecco perché è assolutamente pacifica la bontà e la fondatezza del principio che fa divieto al giudice di attingere alla sua scienza privata dei fatti di causa.

C’è da aggiungere però che questo, come ogni buon principio che si rispetti ha la sua brava eccezione.

Disc.- Quale?

Doc. Quella data dai cosiddetti “fatti notori”.

Disc.- Parliamo dunque di questi fatti notori.

Doc.- Ne parleremo, ma prima è opportuno dire qualche cosa sulle “massime d’esperienza”.

Disc.- Che cosa sono le “massime d’esperienza” ?

Doc.- Sono generalizzazioni basate su un certo numero di esperienze precedenti. Si esperimenta che dati i fatti : A1, A2,A3 ecc. si verifica l’evento X e si generalizza affermando : tutte le volte che viene in essere un fatto A ( cioè un fatto che presenta le stesse caratteristiche di : A1,A2,A3 ecc) viene ad esistenza anche l’evento X.

Disc.- Quindi ogni massima d’esperienza deriva dalla conoscenza di certi fatti, per cui chi afferma e, comunque, si basa, su una massima d’esperienza, afferma e comunque si basa sulla conoscenza ch’egli ha , direttamente o indirettamente, di certi fatti.

Doc.- Giustissimo, sei veramente bravo ; e senza dubbio cominci a capire perché ti sono venuto a parlare delle massime d’esperienza, subito dopo averti parlato del divieto per il giudice di utilizzare la scienza ch’egli abbia di certi fatti.

Disc.- Capisco perfettamente : invero logica vorrebbe che, come al giudice è fatto divieto di far uso della conoscenza ch’egli per ventura abbia di certi fatti, così gli venisse fatto divieto di far uso delle massime d’esperienza, dato che basarsi su una massima d’esperienza , ad esempio sulla massima che dopo un lampo nel cielo segue un tuono, è possibile solo utilizzando la conoscenza dei fatti su cui la massima si fonda : il giudice non potrebbe dire che dopo un lampo segue un tuono se non avesse mai assistito a un temporale.

Disc.- O se non avesse appreso la massima d’esperienza , che dopo un lampo segue un tuono , da chi ha assistito a un temporale.

Doc. Il che non cambia la sostanza del discorso.

Disc.- Che è , se ho ben capito , che come vi è un divieto per il giudice di utilizzare la sua scienza privata ( cioè le conoscenze che ha appreso , direttamente dai suoi sensi o indirettamente da terzi fuori del processo) così dovrebbe esserci un divieto per il giudice di utilizzare le massime d’esperienza da lui apprese direttamente , o indirettamente fuori dal processo.

Doc.- E in effetti anche in materia di massime d’esperienza vige un principio assai affine a quello del divieto della scienza privata del giudice, che abbiamo prima visto. E questo principio vuole che il giudice, anche se sa ed è convinto di una massima d’esperienza, non se ne serva, finché tale massima non è esternata nel dictum di un perito da lui nominato o di un consulente tecnico nominato dalle parti.

Disc. Il principio di cui tu parli è espresso da una norma di legge?

Doc.- No, nel codice di procedura non c’è nessun articolo che imponga al giudice di procedere a una perizia per acquisire al processo una massima d’esperienza. Anzi, come vedremo subito , il nostro legislatore sembra più preoccupato di porre limiti al ricorso a perizie ai fini di acquisire delle massime d’esperienza che a imporre il ricorso a tali perizie. Però l’esistenza del principio di cui Ti dicevo costituisce un autorevole insegnamento della nostra Suprema Corte di Cassazione; insegnamento che, cosa interessante, è ricavato dal principio del contraddittorio, cioè, dallo stesso principio che, come abbiamo visto, giustifica il divieto della scienza privata del giudice. E in effetti solo quando la massima d’esperienza emerge, per così dire, nel processo, le parti e i loro consulenti possono attivare un contraddittorio efficace sull’effettiva esistenza della massima e sui suoi limiti.

Disc.- Ma tu hai detto che il Legislatore pone dei limiti all’ammissibilità di perizie volte a ricavare delle massime d’esperienza.

Doc. In effetti il nostro Legislatore nell’articolo 220 così dispone: “ La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati e valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche”.

Disc.- Non contraddice tale disposizione l’esistenza del principio di cui tu parlavi’

Doc. – No, ma ne limita, e giustamente, la portata

Disc. Perché dici che giustamente ne limita la portata?

Doc.- Perché nel nostro Ordinamento non vi è solo il principio del contraddittorio ma anche il principio di economia processuale. Guai a noi, se il giudice potesse utilizzare ai fini della sua decisione solo le massime d’esperienza espresse dal dictum di un perito o di un consulente tecnico: i costi dei processi salirebbero in modo esponenziale e i ritardi nella loro conclusione anche. Il giudice deve poter utilizzare per la sua decisione, anche se non risultanti dal dictum di una persona in materia perita, tutte quelle massime d’esperienza che rientrano nella cultura comune. Dirò di più. Può utilizzare anche quelle massime d’esperienza, che pur non rientrando nella cultura comune, rientrano nella comune cultura degli Uomini di legge che sono specializzati nella materia trattata nel processo. E così il giudice di una causa per lesioni colpose cagionate da violazione delle norme sulla circolazione stradale ,senza ricorrere a perizia , potrà mettere a base della sua decisione le massime di esperienza sui tempi di frenatura dei veicoli procedenti ad una data velocità

Disc. Ma ci potrebbe anche essere il difensore che non conosce tali massime perché non aduso ai processi per infortunistica stradale.

Doc. Peggio per lui, e peggio per il suo cliente, che doveva scegliersi come difensore un avvocato specializzato nella materia dell’infortunistica

Disc. La possibilità di utilizzazione da parte del giudice di massime d’esperienza rientranti nella presumibile comune cultura degli Uomini di legge ……

Doc. Bada , possibilità di utilizzazione senza necessità che il giudice ponga per così dire sul tappeto la sua conoscenza della massima ….

Disc. Si, certo, è importante rilevarlo, ebbene questa possibilità di utilizzazione delle massime presumibilmente rientranti nella cultura comune degli Uomini di legge , costituisce certamente una eccezione al principio del divieto della scienza privata del giudice. Ma non l’unica eccezione , debbo dedurre da quel tuo precedente cenno riferito ai fatti notori.

Doc. Si, come il giudice può utilizzare la conoscenza ch’egli abbia di certe massime d’esperienza, senza avere il dovere di comunicarlo alle parti, così egli può utilizzare la conoscenza ch’egli abbia di certi fatti senza avere tale dovere. Tali fatti per cui è ammessa la deroga al divieto della scienza privata del giudice si chiamano appunto “fatti notori”.

Disc. – E risulta chiaro da quel che tu hai detto che la deroga per i fatti notori ha   fondamento in quello stesso principio di economia processuale che giustifica la deroga per le massime d’esperienza – naturalmente mi riferisco a quelle massime che non debbono entrare nel processo necessariamente tramite la perizia.

Vuoi, per finire, dare qualche esempio di fatto notorio ?

Doc.- Pensa, all’alluvione che colpì Firenze, alla guerra del golfo…insomma a tutti quegli eventi che puoi leggere su un giornale.Anche se devi tenere presente che vi possono essere fatti notori mai saliti agli onori della stampa: l’importante perché un fatto sia ritenuto notorio è solo che si possa presumere che rientri nella comune cultura degli Uomini di legge.

Disc. – Cambiamo ora completamente argomento : parliamo della prova legale. Che cosa si intende per prova legale?

Doc.- Per quel che riguarda la valutazione della prova , un legislatore può seguire due diverse linee di condotta: può rimetterla al giudice, oppure può riservarla a sé medesimo . Gli ordinamenti in cui la valutazione della prova è prevalentemente rimessa al giudice, si dicono ispirati al principio del libero convincimento;quelli in cui la valutazione della prova è prevalentemente riservata al legislatore si dicono ispirati al principio della prova legale.

Disc. Quali sono i motivi che possono spingere un legislatore ad adottare il principio del libero convincimento?

Doc.- La sfiducia nella propria capacità di prevedere tutte le possibili situazioni che possono presentarsi a un giudice e la volontà di evitare quei casi dolorosi in cui la valutazione legislativa della prova, rivelandosi imperfetta e lacunosa, porterebbe alla condanna di una persona sicuramente innocente o all’assoluzione di una persona sicuramente colpevole.

Disc.- E ora, quali i motivi che possono spingere un legislatore ad adottare il sistema della prova legale?

Doc.- Presto detto : la sfiducia del legislatore nella capacità del giudice di far buon uso dei poteri discrezionali eventualmente rimessigli e la volontà di evitare disparità di trattamento dovute alla possibilità che giudici di mentalità diversa diano di identiche prove valutazioni diverse.

Disc. – Il nostro Ordinamento a quale principio si ispira?

Doc.- Senza dubbio a quello del libro convincimento. Anche se non mancano le norme che vincolano il giudice a una determinata valutazione della prova.

Disc.- Ad esempio ?

Doc.- L’esempio, diciamo così , classico si trova nell’articolo 240, che nel suo primo comma recita: “ I documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati salvo che costituiscano corpo di reato o provengano comunque dall’imputato”.

Disc.- Tu hai detto che l’adozione del principio del libero convincimento comporta il pericolo di abusi da parte del potere giudiziario ; contro tale pericolo non è possibile nessuna difesa ?

Doc. .- Si una difesa è possibile anche se molto imperfetta, ed è l’imposizione al giudice dell’obbligo di motivare l’uso del potere discrezionale a lui concesso. Consapevole di ciò il nostro legislatore nell’articolo 192 stabilisce: “Il giudice valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati e dei criteri adottati”.

Disc. Certamente se il giudice fosse costretto a scrivere nella sentenza i veri motivi che l’hanno indotto a emetterla, egli ben si guarderebbe dal prendere una decisione per motivi inconfessabili, ad esempio per favorire o nuocere all’imputato.Ma in realtà chi mai può costringere il giudice a scrivere dei motivi veri e non dei motivi di comodo in grado di nascondere i motivi veri? Io giudice condanno l’imputato perché mi è antipatico e poi motivo “ Le dichiarazioni concordi dei testi Primo e Secondo non lasciano dubbi sulla colpevolezza dell’imputato”.

Doc.- Quello che dici tu è verissimo.Vero è anche che , come le bugie hanno le gambe corte , anche le motivazioni di comodo molto spesso cadono in contraddizioni. E studiando la motivazione vedremo che in caso di motivazione contraddittoria l’articolo 606 nella lettera e del suo primo comma impone l’annullamento del provvedimento ( contraddittoriamente motivato). Va aggiunto che sempre l’articolo 606 e sempre nella sua lettera e) impone l’annullamento in caso di mancanza di motivazione. E va notato, perché è cosa importantissima per bene inquadrare l’effettivo potere che il giudice ha nella valutazione della prova, che è equiparata dalla nostra Corte Suprema di Cassazione alla motivazione mancante una motivazione cervellotica,avulsa da ogni collegamento ad una valida regola di esperienza: per intenderci , una motivazione del tipo : “ io giudice ho condannato sulla base delle dichiarazioni del teste Rossi perché questi mi ha ispirato un’assoluta fiducia”.

Disc.- Come dovrebbe invece risultare una motivazione sull’attendibilità di una testimonianza per non essere equiparata a una motivazione mancante?

Doc.- Dovrebbe far riferimento a valide regole di esperienza ; ad esempio dire : “ la testimonianza di Rossi va considerata attendibile per essere egli completamente disinteressato nella causa e per la coerenza delle sue dichiarazioni”.

Disc. Dove le valide regole di esperienza che nel caso entrerebbero in gioco, anche se non espresse, sarebbero: “ Chi non ha interesse a mentire di solito dice il vero” “ Chi dice il vero di solito non si contraddice”. Capisco. E capisco anche perché tu hai prima detto che la considerazione che andavi a fare sulla equiparazione tra motivazione cervellotica e motivazione mancante era importantissima per bene inquadrare la natura del potere che il giudice ha nella valutazione della prova. E penso di poter concludere, alla luce proprio di questa tua considerazione, che tale potere è, si, discrezionale, ma non arbitrario , in quanto va esercitato in base a un ragionamento e non in base ad impressioni e più o meno confuse intuizioni. Ho concluso rispecchiando bene il tuo pensiero?

Doc.- Hai concluso benissimo: di meglio io no avrei saputo dire.