Enciclopedia giuridica del praticante

 

Lezioni di procedura penale

07. le contestazioni - la “verginità” della prova.

Doc.- Da quanto detto nella lezione sesta lo studioso potrebbe trarre l’impressione che l’esame dei testi e delle parti consista solo in un susseguirsi di domande. Ma questa sarebbe un’impressione del tutto errata ; infatti è normale che nell’esame di un teste o di una parte si alternino domande e contestazioni.

Disc.- Parliamo dunque anche di queste.

Doc.- Esse possono essere di due generi: contestazioni tipiche e contestazioni atipiche

Disc-. Che cosa si deve intendere per contestazioni tipiche?

Dov-. Si deve intendere quelle contestazioni previste , nell’ articolo 500 , per quel che riguarda i testimoni , e , nell’articolo 503, per quel che riguarda le parti .

Disc. In che consistono?

Doc.- Nel richiamo delle precedenti dichiarazioni rilasciate dall’esaminato e risultanti dal fascicolo del pubblico ministero . Il teste Tizio a domanda ha risposto: “ L’auto posteggiata davanti alla banca era nera” e la parte che lo sta esaminando le contesta “Al pubblico ministero lei ha dichiarato “ L’auto posteggiata era bianca”.

Disc.- Vogliamo leggere come suonano esattamente le disposizioni dell’articolo 500 e dell’articolo 503 che contemplano la facoltà di contestazione?

Doc.- Forse è meglio: fallo Tu.

Disc.- Leggo il primo comma dell’articolo 500 : “Fermi i divieti di lettura e di allegazione, le parti per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone abbia già deposto”.

Leggo ora il terzo comma dell’articolo 503 ( che, ricordo, riguarda le contestazioni alle parti): “Fermi i divieti di lettura e di allegazione, il pubblico ministero e i difensori, per contestare in tutto o in parte il contenuto della deposizione, possono servirsi delle dichiarazioni precedentemente rese dalla parte esaminata e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Tale facoltà può essere esercitata solo se sui fatti e sulle circostanze da contestare la parte abbia già deposto”

Disc.- La parte che la effettua deve leggere la contestazione o può semplicemente richiamarla a memoria?

Doc.- La questione è discussa. Ma io ritengo preferibile che la contestazione sia fatta mediante lettura. Ciò per evitare quelle deformazioni, volontarie o involontarie, del precedente dictum dell’esaminato, che operando come affermazioni fortemente suggestive ( l’esaminato pensa: se prima ho detto che è così, vuol dire che è così ed ora ricordo male) potrebbero avere il risultato deprecabile di indurlo a mutare una dichiarazione vera ( quella fatta rispondendo alla precedente domanda : l’auto era nera) in una falsa ( quella fatta per uniformarsi al contenuto della contestazione : l’auto era bianca).

Disc.- Vero è che il giudice è lì anche per controllare la correttezza delle contestazioni.

Doc.- Si, è vero, e come dice il sesto comma dell’articolo499 – comma che ci riserviamo di leggere in seguito - “ se occorre” può ordinare “ la esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni”. Però è anche vero che certe volte il giudice dormicchia.

Disc. Quando va fatta la contestazione?

Doc.- Sei stata poco attenta : l’ultima parte delle disposizioniora lette lo dice chiaramente : la contestazione va fatta dopo che sui fatti o sulle circostanze da contestare l’esaminato ha già deposto

Disc.- Ma perché il legislatore vuole che la contestazione segua la deposizione?

Doc.- Perché teme che in caso contrario, l’esaminato , avuta lettura della precedente deposizione , sia portato confermarla. Nel vigore del codice Rocco era così . Si leggeva il verbale delle precedenti dichiarazioni, si chiedeva all’interrogato se confermava; quello ( per non far la figura o dello sciocco o peggio del bugiardo) confermava e tutto finiva lì: senza quell’approfondimento che nasce quando ex novo si interroga un teste o una parte.

Disc.- Quelle di cui abbiamo parlato sono le contestazioni tipiche e quelle atipiche che cosa sono ?

Doc. Sono contestazioni fatte richiamando le dichiarazioni rilasciate dall’esaminato nello stesso processo o anche massime d’esperienza. Ad esempio, il teste risponde a una prima domanda “ L’auto era nera” e a una seconda domanda “ L’auto era bianca”: naturalmente dopo che ha data la seconda risposta gli si contesta la prima. Oppure la parte , che sta facendo dichiarazioni su un fatto avvenuto di notte in un vicolo non illuminato , dice : “ Ricordo chiaramente che la targa dell’auto posteggiata aveva il numero ecc” : naturalmente le si contesta che di notte in un vicolo non illuminato è ben difficile leggere il numero di una targa.

Disc.- Sembrerebbe da quanto detto fino ad adesso che le parti siano le uniche e incontrastate protagoniste nella fase dell’esame dei testi e delle parti, e allora viene spontanea la domanda, il giudice che ci sta a fare, il giudice che fa?

Doc.- Che faccia il giudice, quali siano i suoi compiti durante l’esame di un teste o di una parte ce lo dice il sesto comma dell’articolo 499, il quale recita : “ Durante l’esame, il presidente, anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l’esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni”.

Disc.- Ma il giudice può fare domande ai testi e alle parti ?

Doc. Si, ma dopo che sono state esaminate dalle parti. Ciò risulta dal secondo comma dell’articolo 506 che recita: “ Il presidente, anche su richiesta di altro componente del collegio, può rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici, alle persone indicate nell’articolo 210 ed alle parti già esaminate, solo dopo l’esame e il controesame. Resta salvo il diritto delle parti di concludere l’esame, secondo l’ordine indicato negli articoli 498 commi 1 e 2 e 503 comma 2.”

Disc. Voltiamo pagina, cambiamo argomento: è vero che la “verginità” è un valore prezioso anche in materia di prove?

Doc.- E’ verissimo e il perché te lo spiego con un esempio. Metti che il ragionier Parodi , in sede di indagini preliminari, rispondendo ad una domanda del pubblico ministero abbia dichiarato “ “ Il bandito che sparò al cassiere aveva i baffi”. Ebbene il nostro bravo ragioniere , se interrogato di nuovo sul punto dal giudice in sede di udienza dibattimentale, avrà la netta tendenza a confermare la precedente dichiarazione, a ripetere che “ il bandito aveva i baffi”.

Disc.- Lo farà perché la dichiarazione da lui precedentemente fatta al Pubblico ministero era vera.

Dov.-   Lo potrebbe fare per questo, ma lo potrebbe fare, anche se la precedente dichiarazione non era vera , per non sembrare uno sciocco che non sa quel che dice o peggio un mentitore.

Disc. Tu ti metti nel caso di un teste in malafede.

Doc.- Non necessariamente.

Disc.- Ma se ha dichiarato il falso al pubblico ministero io lo direi in malafede.

Dov.- Ripeto,non necessariamente ; ed è questo il punto : la dichiarazione non veritiera potrebbe essere frutto, non della malafede del teste, ma di una maldestra domanda del pubblico ministero. Metti che questi abbia fatto al teste una domanda fortemente suggestiva – una di quelle domande che il giudice al dibattimento senz’altro bloccherebbe – ad esempio “Il bandito che sparò, aveva i baffi, non è vero?” : di fronte a tale domanda fatta con grande autorevolezza il povero ragionier Parodi, anche se in realtà é tutt’altro sicuro che il bandito avesse i baffi, per non contrariare l’interrogante nelle sue evidenti aspettative di una risposta positiva, dichiara “Si, aveva i baffi”. E il pasticcio è bello che fatto!

Disc.- E certamente potrebbe essere un pasticcio assai grave , perché ne potrebbe dipendere la condanna di un innocente. L’ideale quindi sarebbe che i testi e in genere tutti quelli che potrebbero fare dichiarazioni utili sui fatti di causa fossero escussi solo al dibattimento, davanti al giudice e con la garanzia dell’esame incrociato.

Doc. Questo sarebbe l’ideale; ma purtroppo non è un ideale realizzabile : il pubblico ministero per decidere se chiedere il rinvio a giudizio di una persona deve pur fare delle indagini , sentire i presumibili testimoni dei fatti. Il legislatore se ne rende conto e nell’articolo 362 gli concede di “ assumere informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini”. E così il legislatore si rende conto che neanche alla Polizia si può negare il potere di raccogliere “ informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini dell’indagine” e con l’articolo 351 glielo concede.

Disc.- Si, ma il legislatore dovrebbe anche rendersi conto che così facendo rischia di menomare quel marchingegno, e mi riferisco all’esame incrociato, da lui predisposto per garantire l’affidabilità della prova.

Doc.- E in realtà se ne rende conto ; e come abbiamo già visto qualche contromisura l’adotta: se ti ricordi - nel primo comma dell’articolo 500 e nel terzo comma dell’articolo 503 - fa divieto di dar lettura delle dichiarazioni precedentemente rilasciate in sede di indagini preliminari dall’esaminato su una data circostanza , se prima ,su tale circostanza , non è stato interrogato . E questo proprio per impedire che l’esaminato resti condizionato dalle precedenti risposte date.

Disc. Noi fino ad adesso abbiamo visto il pregiudizio che può derivare , alla genuinità e affidabilità della prova , dall’interrogatorio di persone fatto dalla Polizia o dal Pubblico Ministero. Però questo pregiudizio in realtà si può verificare anche in seguito a una ricognizione di persone effettuata ai sensi dell’articolo 361 o a un accertamento tecnico fatto ai sensi dell’articolo 360 dal pubblico ministero o, perché no? anche in seguito ad un accertamento fatto dal consulente della parte ai sensi dell’articolo 233.

Doc.- In quel che dici c’è una gran parte di verità ma anche parecchie inesattezze.Procediamo con ordine. Cominciamo da quella operazione che tu chiami “ricognizione di persone” e che in realtà quando è effettuata dal pubblico ministero prende il nome di individuazione. Effettivamente essa pregiudica l’affidabilità della ricognizione vera e propria che il giudice poi voglia fare in sede dibattimentale o anche in sede di incidente probatorio ; e tanto è vero che una precedente individuazione menoma l’affidabilità della ricognizione , che il legislatore impone al giudice , nel primo comma dell’articolo 212 , di domandare al riconoscente (apro le virgolette , cito le parole della legge) “ se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere”.

Detto questo, però, si deve anche aggiungere che il legislatore limita notevolmente nell’articolo 361 la possibilità di ricorrere al mezzo di indagine, di cui stiamo parlando , la cosiddetta individuazione; infatti il pubblico ministero può ricorrere a questa solo “ se necessario per la immediata prosecuzione delle indagini” e soprattutto astenendosi dal presentare di persona il riconoscendo : egli può ai fini di permettere la sua individuazione presentare solo delle sue immagini : fotografie, disegni e simili.

Disc.- Passiamo agli accertamenti tecnici previsti dall’articolo 360: senza dubbio essi possono pregiudicare una futura perizia del giudice nel dibattimento.

Doc.- Diciamo che possono pregiudicare una perizia fatta in sede di incidente probatorio. Infatti una perizia in sede dibattimentale nel caso non sarebbe ipotizzabile dal momento che l’articolo 360 parte dal presupposto che tali accertamenti siano “non ripetibili” in quanto relativi a “ cose e luoghi il cui stato è soggetto a modificazione”. Però contro tale pericolo il legislatore dà alle parti una validissima difesa.

Disc.- E cioè?

Doc.- Quella di chiedere appunto che l’accertamento avvenga in sede di accertamento probatorio. Ciò risulta dal quarto comma dell’articolo 360 in esame , che recita : “Qualora, prima del conferimento dell’incarico, la persona sottoposta alle indagini formuli riserva di promuovere incidente probatorio, il pubblico ministero dispone che non si proceda agli accertamenti salvo che questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti”

Disc.- Ma se la parte non fa la riserva ?

Doc.- Certamente il pubblico ministero farà eseguire l’accertamento ma ( apro le virgolette perché cito il terzo comma dell’articolo in esame) “ i difensori nonché i consulenti tecnici eventualmente nominati avranno diritto di assistere al conferimento dell’incarico, di partecipare agli accertamenti e di formulare osservazioni e riserve”.

Val la pena ancora di dire che un accertamento tecnico effettuato in sede di indagini preliminari può ,sì, pregiudicare una futura perizia del giudice, ma non nel senso che ne può falsare i risultati, ma nel senso che la può impedire o rendere più difficile : una volta che il consulente tecnico avrà “bruciato” otto dei dieci milligrammi di sospetta droga trovati indosso all’indagato, per fare i suoi accertamenti, senza dubbio potrà riuscire difficile ad un eventuale perito nominato dal giudice accertare qualcosa di sicuro con i residui due milligrammi.

Disc. Resta da dire degli eventuali accertamenti fatti , ai sensi dell’articolo 233 , dai consulenti nominati da una parte, metti dall’indagato.

Doc.- Questi certamente non potranno mai pregiudicare una futura perizia.

Disc. Ma perché ?

Doc.- Per la semplicissima ragione che il consulente della parte non può in realtà fare nessun accertamento, egli al più può essere autorizzato dal giudice ad “esaminare”, queste le parole precise dell’articolo 233, la cose sottoposte a sequestro o già ispezionate. Val al pena ancora di aggiungere che (apro le virgolette di nuovo perché cito dal comma 1ter dell’articolo in esame) “ l’autorità giudiziaria impartisce le prescrizioni necessarie per la conservazione dello stato originario delle cose e dei luoghi”.