10. Interessi prevalenti su quello all’accertamento della verità - “ Diritto al silenzio dell’imputato.
Doc.- L’interesse all’accertamento della verità è certamente un interesse fondamentale per lo Stato ; però la sua realizzazione non costituisce per lo Stato un valore assoluto : essa cede il passo di fronte alla salvaguardia di altre esigenze ritenute, dallo Stato, più degne di tutela.
Disc.- Quali sono queste esigenze?
Doc.- Posso cominciare a citare la esigenza di tutela della personalità .Tutela della personalità che porta a riconoscere all’indagato/imputato il diritto al silenzio – e di questo ci riserviamo di parlare in coda a questa lezione – e che ancora detta la formulazione di un articolo importante come l’articolo 200.
Disc.- Che dispone tale articolo ?
Doc.- L’articolo 200 dà la facoltà – bada, la facoltà, e non l’obbligo - di astenersi dal “ deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione” a tutta una serie di “professionisti”, inteso questo termine in senso molto lato tanto da comprendervi, non solo gli avvocati, gli investigatori, i medici, ma anche i ministri del culto.
Disc - E questa disposizione sarebbe dettata da un’esigenza di tutela della personalità del professionista?
Doc.- Non tanto di tutela della personalità del professionista, quando di quella della persona, che ha bisogno di rivolgersi a lui. Pensa a un imputato : se non ci fosse tale disposizione egli sarebbe posto nell’alternativa (crudele!) di scegliere tra il dire al suo avvocato tutto quanto è a sua conoscenza, in modo da essere difeso al meglio, e il correre il rischio di rivelare , così facendo, al suo avvocato cose che questi potrebbe essere costretto a dire in un domani come testimone.
Disc. Ma mi pare che , in assenza della disposizione dell’articolo 200, non si determinerebbe solo questo inconveniente. Mi pare che ci sarebbe anche il pericolo che l’imputato, tacendo certe cose al suo difensore , per paura che questi in un domani le riveli, venga con ciò stesso a privarlo di quegli elementi che gli permetterebbero di evitare un errore giudiziario. E ciò, mutatis mutandis, si potrebbe ripetere per il cliente del medico : egli potrebbe essere portato a tacere a chi lo cura alcune cose utili per un’esatta diagnosi.
Doc.- L’osservazione è giusta : senza dubbio l’articolo 200, non è posto solo a tutela della personalità, ma ha anche la funzione di assicurare l’utile svolgimento di certe professioni. E ciò è particolarmente vero per il suo terzo comma.
Infatti tale comma limita il diritto al segreto professionale dei giornalisti “ ai nomi delle persone dalle quali essi hanno avuto notizie di carattere fiduciario nell’esercizio della loro professione” .
Disc.- Quindi il giornalista deve testimoniare su quanto è venuto a sapere ma può astenersi dall’indicare la persona che è fonte del suo sapere.
Doc.- Esatto. Ora è chiaro che tale possibilità di astenersi dall’indicare il nome di Pinco Pallino che gli ha spifferato certe cose, non è data al giornalista a tutela della personalità di Pinco Pallino, che avrebbe benissimo potuto omettere di dire al giornalista certe cose senza subire alcun inconveniente.
Disc.- Quindi tu ritieni che ai giornalisti sia garantito il segreto professionale, sia pure nei limiti sopra detti, solo per permettere alla Stampa di svolgere al meglio la sua funzione di informare il pubblico.
Doc.- Esatto. Ma prima di chiudere sull’articolo 220, e al fine di evitare possibili equivoci, vorrei fare presente che i medici – così come gli altri professionisti, ma il discorso vale soprattutto per i medici – hanno diritto a tacere, non solo su quanto è stato loro detto, ma anche su quanto loro hanno visto. Ad esempio il medico che ha curato Caia può tacere sulle lesioni che questa presentava.
Disc.- Ma l’obbligo di referto stabilito dall’articolo 365 del codice penale?
Doc.- Certo tale obbligo non è escluso dall’articolo 200 in esame, il quale anzi , nel riconoscere il diritto al segreto , fa espressamente salvi, nel suo primo comma, “ i casi in cui ( i professionisti) hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria”.Quindi, per riferirci all’esempio introdotto, il medico, qualora dovesse ritenere che le lesioni di Caia presentano “i caratteri di un delitto procedibile d’ufficio”, dovrebbe fare referto. Ben inteso se ciò non venisse a esporre Caia a procedimento penale.
Dic. Continuiamo nel nostro discorso. Tu all’inizio dicevi che lo Stato può autolimitarsi nell’accertamento della verità, non solo ai fini della tutela della personalità, ma anche per altri fini. Quali possono questi essere?
Doc.- Uno, anche se non il principale, è la tutela dell’istituto famigliare.
Disc.- Qual’è l’articolo che si preoccupa di tale tutela?
Doc.-Il 199. Tale articolo dà facoltà – facoltà e non obbligo – di astenersi dal deporre ai prossimi congiunti dell’imputato ( e non delle altre parti processuali!) e alle persone a lui legate da vincolo di adozione.
Disc. Ma che si deve intendere per “prossimi congiunti”? il nipote, lo zio sono prossimi congiunti? e la nuora e il suocero? e il coniuge?
Doc.- Ti rispondo di si: tutti quelli che hai nominato vanno considerati come “prossimi congiunti”; però per più precise indicazioni ti debbo rinviare al comma quarto dell’articolo 307 del codice penale. Proseguendo il discorso ti dirò che - mentre i famigliari , di cui ora si è detto, possono sic et simpliciter rifiutarsi di sedere sulla sedia dei testimoni - altri famigliari debbono invece assumere l’ufficio di teste, anche se possono rifiutarsi di rispondere a certe domande. Questi famigliari sono indicati nel comma terzo dell’articolo 199 così:” a) chi , pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso; b) il coniuge separato dell’imputato;c) la persona nei cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con l’imputato”.
Disc. Ma quali sono le domande a cui le persone di cui sopra possono rifiutarsi di rispondere?
Doc.- Quelle sui “ fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante la convivenza coniugale”.
Disc.- Appresi da chi? dal marito o convivente?
Doc.- No, anche da altro famigliare o addirittura da un terzo.
Disc.- Dicci ora qual’è la ratio dell’articolo 199.
Dov.- La ratio della facoltà concessa ai “prossimi congiunti” e alle persone legate da vinvolo di adozione di astenersi , è con tutta evidenza quella della tutela dell’istituto e della morale famigliare : infatti su questa incide negativamente l’immagine e l’esempio di un figlio che testimonia contro il padre o di un fratello che testimonia contro l’altro fratello: infatti, chi vede o sa di tali fatti , può essere spinto ad imitarli assumendo atteggiamenti aggressivi verso i famigliari.
La ratio invece della ( sia pur limitata ) facoltà di astenersi concessa al convivente o ex convivente, al coniuge separato , insomma ai famigliari o ex famigliari diversi dai prossimi congiunti e dalle persone legate da vincolo di adozione, é quella di salvaguardare l’intimità del focolare domestico: le persone debbono sentirsi sicure di parlare liberamente quando “sono in famiglia” : sicure che se anche , nel futuro , ci sarà una separazione o un divorzio o un annullamento , le cose da loro dette non verranno rivelate.
Disc.- Altri fini diversi dalla tutela della personalità e dell’istituto famigliare, fin’ora visti ? fini per la cui tutela lo Stato è disposto ad autolimitarsi nei suoi poteri di accertamento della verità?
Doc.-Certamente ne esistono. Basti pensare al fine di tutela del segreto d’ufficio perseguito dall’articolo 201 e al fine di tutela del segreto di Stato perseguito dall’articolo 202.
Disc.- Dai un esempio di segreto di ufficio.
Doc. Le cose che si dicono i giudici in camera di consiglio.
Disc.-Dai un esempio di segreto di Stato.
Doc. Il luogo dove si trova una postazione missilistica.
Disc E per tutelare tali segreti il Legislatore è disposto a correre il rischio di una condanna dell’innocente o di un’assoluzione del colpevole?
Doc.- Il primo rischio non sussiste , perché in caso di segreto di Stato, se la sua opposizione impedisce l’accertamento dei fatti , il giudice , per il terzo comma dell’articolo 202 , deve pronunciare sentenza di non doversi procedere.
Disc Ma in caso di segreto d’ufficio?
Doc. Nel caso di opposizione di un segreto d’ufficio io credo che il giudice dovrà considerare come accertato a favore dell’imputato il factum probandum.
Disc.- E il secondo rischio, quello di lasciare a piede libero un colpevole?
Doc.- Questo rischio indubbiamente sussiste, ma i danni che può provocare un colpevole a piede libero potrebbero essere minori dei danni che potrebbero conseguire dalla rivelazione di un segreto di ufficio o di un segreto di Stato : ed è giusto che spetti ad un’autorità , che può avere l’esatta percezione dell’entità di questi ultimi, il dire da che parte deve pendere la bilancia.
Disc Cambiamo argomento. Fino ad adesso abbiamo visto dei casi in cui l’autolimitazione dello Stato nell’accertamento dei fatti processuali, si manifestava nella rinuncia dello Stato a pretendere da certe persone l’assunzione, completa o parziale, dell’ufficio testimoniale. Ma tale autolimitazione può manifestarsi anche in altre forme?
Doc.-Certo che si. Ad esempio l’articolo 251 pone un limite temporale alle perquisizioni : esse non possono essere effettuate prima delle sette di mattina e dopo le sette di sera. Senza dubbio questa è un’autolimitazione del potere di indagine.
Disc.- Un altro esempio di autolimitazione potrebbe ravvisarsi nel divieto, fatto dall’articolo 240 , di utilizzazione degli scritti anonimi.
Doc.- No, io non ravviserei in tale divieto un’autolimitazione dei poteri di accertamento della verità, in quanto tale divieto è posto in considerazione dell’inaffidabilità di tali documenti. Piuttosto , se vuoi pensare ad un altro caso di autolimitazione non implicante rinuncia all’escussione di testi, pensa al divieto di intercettazioni.
Disc. Le intercettazioni telefoniche previste dall’articolo 266?
Doc.- Ma anche le intercettazioni informatiche o telematiche previste dall’articolo 266bis e le intercettazioni ambientali previste ,di nuovo, dall’articolo, 266 , da te prima citato.
Disc.- Ma quando si ha un’ intercettazione ambientale ?
Doc. Quando viene captata la conversazione che due persone intrattengono , senza bisogno di telefono o di altri apparecchi per la trasmissione della parola a distanza, dato che appunto si trovano una vicina all’altra, nello stesso ambiente : è il caso di Tizio e Caio che parlano in un autobus, mentre , con un microfono nascosto sotto il loro sedile , una persona ascolta.
Disc.- Chiarito questo, mi vuoi spiegare perché, rispetto alle intercettazioni ,si può parlare di autolimitazione?
Doc.- Se ne può parlare per due ragioni.
Prima, per la ragione che le intercettazioni – e mi riferisco alle intercettazioni di tutti i tre tipi sopra indicati – sono ammesse dal legislatore solo per certi reati.
Disc.- I più gravi, penso
Doc.- Non direi che , la selezione dei reati per cui ammette l’intercettazione, sia stata fatta dal Legislatore adottando solo il criterio della loro particolare gravità. Dato che nel loro elenco , fatto dall’articolo 266 , accanto a reati , che sono senza dubbio particolarmente gravi, come i delitti per cui è previsto l’ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a cinque anni , trovano posto reati di gravità molto modesta come l’ingiuria, la molestia telefonica.
Disc. Scusa l’interruzione: prosegui nel tuo discorso. Stavi dicendo che due sono le ragioni per cui si può parlare di autolimitazione dello Stato. Una l’hai detta; ed è che non per tutti i reati l’intercettazione è ammessa. E l’altra ragione?
Doc.- E’ data dal fatto che , come dispone l’articolo 267 , le intercettazioni possono essere adottate solo su provvedimento del pubblico ministero (e non della Polizia!) – e solo dopo autorizzazione del giudice delle indagini preliminari.
Disc.- Dopo quel che hai detto è ovvia la domanda: quando si può parlare di intercettazione ( per cui scattano i limiti da te sopra indicati)?
Doc.- Di intercettazione si può parlare solo quando si capta la conversazione tra due o più persone a loro insaputa: basta che solo una di loro sappia, perché di intercettazione non si possa più parlare.
Disc.- Quindi non vi è intercettazione quando uno dei due interlocutori, all’insaputa dell’altro, registra le parole che l’altro gli dice e poi le porta alle polizia.
Doc. Certamente, no. E neanche vi è intercettazione quando la polizia si mette ad ascoltare, ad esempio utilizzando una derivazione, le parole di un interlocutore col consenso dell’altro.
Disc.- Quindi, se , per riferirci, non più ad un’intercettazione telefonica, ma a una intercettazione ambientale, io mi reco ad un appuntamento con un registratore ben nascosto nella borsa e registro quel che mi dice il mio interlocutore, a sua insaputa , io poi posso portare il nastro registrato alla polizia sicuro che potrà, senza problemi, essere acquisito come prova nel processo?
Doc.- Certo che si. In tali casi non è applicabile l’articolo 271 – l’articolo cioè che fa divieto di utilizzare come prova le intercettazioni illecite – per la semplice ragione che non si è in presenza di un’intercettazione.
Disc.- Mentre se io avessi registrato a loro insaputa la conversazione di due persone?
Doc.- Allora , si, che ci troveremmo di fronte ad un’intercettazione illecita, l’articolo 271 sarebbe applicabile e tu non potresti utilizzare la registrazione come prova.
Disc.- Dulcis in fundo. Parliamo adesso del diritto al silenzio – cioè del diritto dell’indagato/imputato di non rispondere alle domande sui fatti di causa.Prima di tutto da che risulta tale diritto.
Doc.- Principalmente dal terzo comma dell’articolo 64, di cui ti pregherei di dare lettura.
Disc.- Terzo comma dell’articolo 64: “ Prima che abbia inizio l’interrogatorio, la persona deve essere avvertita che: a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti, b) salvo quanto disposto dall’articolo 66, comma 1, ha facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso; c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone, salve le incompatibilità previste dall’articolo 197 e le garanzie di cui all’articolo 197bis”.
Doc.- Prescindiamo dal disposto di cui alla lettera c, il cui significato apparirà chiaro quando parleremo della testimonianza dell’imputato e dal disposto di cui alla lettera a) che è di facile comprensione e concentriamoci sul disposto della lettera b.
Disc.- E a proposito della lettera b) ti faccio subito la prima domanda: che significa il suo incipit “ salvo quanto disposto dall’articolo 66”?
Doc.- Significa che l’indagato può rifiutarsi di rispondere ad ogni domanda salvo a quelle che mirano a determinare la sua identità : cioè domande su : nome, cognome, data di nascita, residenza ecc.
Disc.- Chiarito questo, ti pongo ora la domanda più ovvia : ma perché il legislatore si astiene dal punire l’indagato/imputato che rifiuta di rispondere sui fatti di causa o rispondendo dice il falso? Perché si priva così di uno strumento utile per l’accertamento della verità?
Doc.- Perché ritiene incivile porre una persona, l’imputato, di fronte all’alternativa stressante e angosciante tra il dire la verità ed essere condannato dagli uomini e il dire il falso ed essere condannato da Dio.
Disc.- Epperò da varie norme risulta che l’Autorità giudiziaria e addirittura la Polizia possono costringere l’indagato a comportamenti collaborativi. Ad esempio, dall’articolo 349 risulta che la polizia può imporre all’indagato di sottoporsi a rilievi dattiloscopici , altimetrici, a prelievi di saliva e di capelli. Dagli articoli 132, 375,376 risulta che l’Autorità Giudiziaria può imporre all’indagato di sottoporsi ad un esame peritale, di comparire per un interrogatorio e confronto ( libero poi naturalmente l’indagato di stare con la bocca chiusa). Ancora, dall’articolo 490 risulta che “ il giudice (…) può disporre l’accompagnamento coattivo dell’imputato assente o contumace, quando la sua presenza è necessaria per l’assunzione di una prova diversa dall’esame”. Cosa per cui, mi pare di capire , l’imputato potrebbe addirittura essere costretto a collaborare alla ricognizione di cui agli articoli 213 e seguenti.
Doc.- Certo e se putacaso si mettesse le mani sul viso per ostacolare l’atto ricognitivo, il giudice potrebbe ordinare di toglierle con la forza : su ciò c’è un chiaro insegnamento giurisprudenziale. Però tutte le disposizioni da te, sopra, così diligentemente citate, non sono in contraddizione con la concessione fatta dal legislatore all’indagato del diritto al silenzio. Non è ad esempio che , l’ordine di collaborare all’assunzione di prove diverse dall’esame , ponga l’indagato in quella stressante alternativa di cui prima si parlava: il giudice ordina a Mohammed, sospetto rapinatore, di prestarsi ad una ricognizione : l’alternativa che si pone per Mohammed tra l’ottemperare volontariamente all’ordine o tra…l’ottemmperarvi coattivamente , non gli pone nessun problema di coscienza : non è che , se decide di non ottemperare all’ordine del giudice , ha ad temere quel castigo celeste che potrebbe, invece, terrorizzarlo qualora il non ottemperarvi implicasse dire il falso.
Disc.- Sia come sia, una volta riconosciuto all’indagato il diritto al silenzio e a mentire , l’interrogatorio perde molto della sua efficacia come strumento di indagine.
Doc.- E infatti il legislatore dimostra di considerare l’interrogatorio soprattutto come un mezzo, un’opportunità offerta all’indagato per esporre gli elementi a sua difesa.
Disc.- Lo dimostra come?
Doc. Col disposto dei commi 1 e 2 dell’articolo 65 , che così recitano: “L’autorità giudiziaria contesta alla persona sottoposta alle indagini in forma chiara e precisa il fatto che le è attribuito,le rende noti gli elementi di prova esistenti contro di lei e, se non può derivarne pregiudizio per le indagini, gliene comunica le fonti. - Invita, quindi, la persona ad esporre quanto ritiene utile per la sua difesa e le pone direttamente domande”.
Disc.- Però il giudice dà l’avviso che ha facoltà di non rispondere, a chi gli sta di fronte, solo se questi è imputato o indagato. Ora ben può succedere che una persona faccia una dichiarazione che la impicca alla condanna durante un interrogatorio che non la vede per nulla come indagata. Io penso a questo caso : il giudice nel corso di un processo , per furto , contro Rossi , domanda al teste Bianchi “E’ vero che è stato il Rossi a darle questo brillante?” , e il Bianchi risponde “ Si, me l’ha data in cambio di un etto di eroina che io e il Longo possedevamo”, con ciò confessando il reato di spaccio di droga. Domanda: la risposta del Bianchi sarebbe utilizzabile contro di lui in un futuro e molto probabile processo per spaccio di droga?
Doc. La risposta negativa te la dà l’articolo 63 che recita: “Se davanti all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità procedente ne interrompe l’esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona. -Se la persona doveva essere sentita sin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate “.
Disc.- Quindi, se ho ben capito, l’interrogatorio si blocca, si interrompe , non solo quando le dichiarazioni dell’interrogato lo indicano con chiarezza come autore di un reato, come nel caso da te sopra esemplificato, ma anche quando sono tali da far sorgere il sospetto che sia autore di un reato.
Doc.- E’ così. Per ricollegarci all’esempio prima introdotto : alla domanda del giudice il Bianchi risponde “Si, il brillante me lo ha dato il Rossi e io l’ho messo in una scatola insieme a della eroina che vi tenevo” : tanto basterebbe per far sorgere nell’interrogante l’obbligo di sospendere l’interrogatorio.
Disc.- Nell’articolo in esame si impone all’autorità procedente di avvertire l’interrogato “ che a seguito delle sue dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti”. Quindi le dichiarazioni contra se dell’interrogato saranno, si , inutilizzabili come prova contro di lui, ma saranno utilizzabili per giustificare un’attività di indagine : sbaglio?.
Doc.- Io direi che saranno utilizzabili - più che per giustificare un’attività d’indagine : in fondo di che giustificazione ha bisogno l’Autorità per iniziare delle indagini?! – per motivare singoli atti d’indagine: ad esempio con le dichiarazioni de quibus il giudice delle indagini preliminari potrebbe motivare, ai sensi dell’articolo 267, la sua autorizzazione alle intercettazioni.
Disc.- Un’ultima domanda sull’articolo 63 : in questo articolo sembrerebbe operarsi una distinzione tra chi doveva essere sentito sin dall’inizio come imputato o indagato e chi non doveva esserlo: io non vedo il perché di tale distinzione dal momento che in entrambi i casi le dichiarazioni dell’interrogato sono inutilizzabili.
Doc.- Eh, no: la distinzione ha invece una sua rilevanza. Nel caso che il Bianchi non doveva essere sentito sin dall’inizio come imputato o indagato, le dichiarazioni da lui fatte non sono utilizzabili contro di lui, ma lo sono contro terzi : nell’esempio fatto contro il Longo. Nel caso contrario invece , le dichiarazioni non sono utilizzabili né contro il Bianchi né contro il Longo. Questa soluzione, che ti può sembrare strana, non ti sembrerà più tale se considererai che l’articolo 64 dispone , da una parte ,nel suo terzo comma lett. C) , che si dia avviso all’interrogato/indagato che per le dichiarazioni concernenti terzi assumerà l’ufficio di testimone , e, dall’altra parte, nel suo comma 3bis , che in mancanza di tale avviso le dichiarazioni nei confronti di terzi non siano utilizzabili. Il nostro Bianchi doveva essere interrogato sin dall’inizio come indagato; pertanto non sarebbe giusto privarlo di quelle facoltà che in tal caso gli sarebbero spettate: in particolare del diritto di esser avvisato ecc. ecc.
Disc.- Ritorniamo alle origini del nostro discorso:una persona ha diritto al silenzio nel processo che la vede come imputato ma in un altro processo? Metti , Rossi è imputato di furto nel processo A : può essere chiamato nel processo B per rispondere a delle domande ,naturalmente su fatti, per il processo B, rilevanti? può addirittura essere costretto a rivestire , in tale processo B, la scomoda qualità di teste?
Doc. Rispondo separatamente alle tue domande, cominciando dalla seconda : l’imputato nel processo A può essere costretto a ricoprire l’ufficio di testimone nel processo B? Per rispondere a tale domanda si deve partire dall’ovvia considerazione che sarebbe illogico e assurdo dare a Rossi , imputato di furto davanti al Tribunale di Arezzo , il diritto di astenersi dal rispondere alla domanda A , la cui risposta potrebbe comprometterne le tesi difensive e poi obbligare lo stesso Rossi a rispondere alla stessa domanda A davanti al tribunale di Firenze , e questo solo perché davanti al Tribunale di Firenze siede come imputato , non lui, ma certo Bianchi.
Disc.- Allora c’è da aspettarsi che il nostro legislatore dia facoltà all’imputato Rossi di negare la sua risposta alla domanda A , sia che gli venga posta nel processo che lui ha in Arezzo sia che gli venga posta in un altro processo davanti a qualsiasi tribunale della Repubblica Italiana.
Doc- Forse questa sarebbe la soluzione più logica ; però non è una soluzione praticamente adottabile perché a chi mai si può rimettere la decisione se la domanda A pregiudica Rossi nella causa davanti al Tribunale di Arezzo? al tribunale davanti a cui Rossi siede come teste? No, perché non si può pretendere che questo tribunale conosca gli atti della causa di Arezzo. Allo stesso Rossi? No, perché egli , per liberarsi da una domanda fastidiosa , potrebbe essere portato a mentire e a dire che lo pregiudica nella causa di Arezzo mentre così non è
Disc. E allora’
Doc.- Allora il nostro legislatore segue un altro sistema : individua alcune categorie di cause in cui vi è una fortissima probabilità che all’imputato , se sentito come teste, vengano poste domande la cui veridica risposta potrebbe danneggiarlo nella causa penale contro di lui promossa .
Disc.- Chiamiamole, cause al calor rosso; le quali sono?
Doc.- Sono quelle che riguardano i reati di cui all’articolo 12 comma 1 lettera a.
Disc.- E dopo aver previste le cause al calor rosso?
Doc. Il legislatore prevede le cause…al calor blu : cioè le cause in cui tale rischio di domande lesive del diritto al silenzio dell’imputato esiste , ma è meno forte.
Disc.- E quali sono tali cause?
Doc.- Sono quelle che riguardano i reati di cui al comma 1 lettera c e i reati di cui all’articolo 371 comma 2 lett.b.
Disc. Fatto tutto questo, previste le cause al calor rosso e al calor blu, che fa il nostro bravo legislatore?
Doc. Esclude che la persona imputata – e bada io sto parlando di persona imputata, cioè di persona su cui pende ancora il procedimento, ché vedremo che il discorso cambia quando questo è già definito – ebbene, dicevo, il legislatore esclude che la persona imputata possa essere sentita come teste nelle cause al calor rosso. Questo che lei lo voglia o non lo voglia. Quindi , metti che il Rossi sia accusato di aver insieme all’amico Bianchi svaligiato la villa di Paperoni e metti che , per uno di quei disguidi che possono accadere anche nel migliore degli ordinamenti giudiziari, la causa contro il Rossi penda davanti al Tribunale di Arezzo e quella contro il Bianchi davanti al tribunale di Firenze; ebbene il Rossi non potrebbe essere sentito come teste dal tribunale di Firenze. Anche, ripeto , se lui si offrisse di testimoniare.
Disc. Mi sembra piuttosto logico. Infatti nel ipotesi che, come è nella normalità dei casi, le due cause fossero state riunite , e il Rossi e il Bianchi da bravi compagni di sventure sedessero l’uno accanto all’altro davanti allo stesso giudice nello stesso processo,il Rossi né avrebbe potuto essere chiamato a testimoniare né avrebbe potuto pretendere di testimoniare. Andiamo avanti. Passiamo alle cause di color blu.
Doc.- Per esse le cose si presentano in maniera un po’ diversa. Questo in quanto il legislatore per regola esclude che l’imputato possa essere sentito come teste in questo tipo di cause ; però a tale regola fa un’importante eccezione.
Disc.- Quale?
Doc.- Quella prevista dall’articolo 64 nel suo comma terzo lettera c. La quale eccezione comporta che se l’imputato, ancorché avvisato ai sensi di questa disposizione, avrà fatto dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, su tali fatti, e bada, solo su tali fatti , potrà essere sentito come teste. Anche in tale ipotesi è escluso però che possa essere obbligato a “deporre su fatti che concernono la propria responsabilità”. Esempio, Pasqualino , imputato di favoreggiamento reale per aver accettato di nascondere la merce rubata dal cognato Pischedda, ancorché ritualmente avvisato, dichiara “ Mio cognato Pischedda a tavola dichiarò che il giorno prima aveva svaligiato la villa di Paperoni”. In tal caso Pasqualino potrà essere sentito come teste nel processo contro Pischedda; però l’unica domanda che gli si potrà porre sarà questa” E’vero che il Pischedda a tavola dichiarò che ecc.ecc.?”. Assolutamente escluse saranno , invece , domande del tipo: “E’ vero che il Pischedda vi pregò di prendere in consegna la refurtiva?”.
Disc.- Tutto questo da che articolo risulta?
Doc.- Dall’articolo 197bis di cui faremo presto più diretta conoscenza.
Disc. Tutto quanto tu hai detto vale per l’imputato Rossi mentre è ancora pendente contro di lui il procedimento per furto. Ma che succede una volta che tale procedimento è stato definito con sentenza irrevocabile? Il Rossi può allora essere sentito come teste??
Doc.- Si, e allora non si fa più distinzione tra cause rosse e cause blu.
Disc. Quindi il Rossi condannato con sentenza irrevocabile per avere svaligiato col Bianchi la villa di Paperoni potrà essere chiamato come teste nel processo in cui il Bianchi deve rispondere dello stesso reato ( idest di aver svaligiato col Rossi la villa
ecc.ecc.) e lì sentirsi fare la domanda “Mentre lei scalava il muro della villa , il Bianchi le teneva la scala?”.
Doc.- E’ così.
Disc.- Ma non lo trovo molto giusto : Bianchi anche se condannato potrebbe avere sempre interesse a negare la sua partecipazione al furto. Questo per vari motivi, per la speranza di poter ottenere , vantando la sua innocenza , un provvedimento di clemenza; per la speranza di ottenere la revisione del processo; più semplicemente per salvaguardare la propria immagine nella società.
Doc.- Ma il legislatore tiene conto di questo. Infatti , il Rossi non potrà essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stato condannato. A meno che abbia ammesso nel processo la propria responsabilità – e questo è logico, in tal caso infatti il discorso che tu hai fatto non avrebbe più senso. Inoltre nel quinto comma, sempre dell’articolo 197, il legislatore si premura di stabilire che le dichiarazioni dell’imputato, del Rossi del nostro esempio, non potranno essere utilizzate a suo carico nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti definiti con sentenza irrevocabile.
Ma a questo punto forse è meglio leggere per completezza l’articolo 197.
Articolo 197 bis:” 1- L’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12 o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2 lett.b, può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444. –2. L’imputato in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12, comma 1, lettera c) o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall’articolo 64 comma 3 lettera c). 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore d’ufficio.-4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti.-5.In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna e in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette.-6Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l’ufficio di testimone ai sensi del presente articolo si applica la disposizione di cui all’articolo 192 comma 3”.
Disc.- Tu hai detto che un imputato , penso al nostro Rossi degli esempi prima fatti, neppure volendo, può testimoniare nelle cause di cui all’art 12 comma 1 lett.a – quelle che abbiamo convenuto di chiamare le cause al calor rosso. E ciò può essere giusto. Ma l’imputato Rossi può sapere molte cose – cose utili per stabilire l’innocenza o la colpevolezza di un altro imputato, dell’imputato Bianchi – perché non sentirlo comunque nel processo di questi , del Bianchi – beninteso senza gettargli addosso la veste troppo impegnativa del teste?
Doc.- E infatti il legislatore ammette il tuo Rossi a fare, se vuole, dichiarazioni nel processo contro il Bianchi. Ciò ti risulta dal primo e quarto comma dell’articolo 210. Ecco quel che dice il primo comma: “ Nel dibattimento le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12, comma 1 lettera a) nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l’ufficio di testimone, sono esaminate a richiesta di parte, ovvero, nel caso indicato nell’articolo 195, anche di ufficio.” Ed ecco quel che dice il secondo comma: “ Prima che abbia inizio l’esame, il giudice avverte le persone indicate nel comma 1 che, salvo quanto disposto dall’articolo 66, comma 1, esse hanno facoltà di non rispondere”.
Disc.- Una cosa non capisco. Tu prima hai detto che l’imputato non può mai assumere l’ufficio di teste in una causa relativa ai reati di cui all’articolo 12 co.1 lett.a. Però il primo comma dell’articolo 210 , che ora hai letto , riferendosi a casi in cui “ l’imputato in un procedimento connesso ecc” “ non può assumere l’ufficio di testimone” , permette di argomentare a contrario che in alcune ipotesi tale imputato può ricoprire l’ufficio di teste.Sto equivocando?
Doc.- Sei semplicemente vittima degli idola fori. La confusione nasce perché io ho usato una terminologia diversa del legislatore. Questi , quando parla di imputato, si riferisce sia alla persona contro cui pende un procedimento che alla persona contro cui già è stata emessa sentenza irrevocabile. Io invece distinguo le due ipotesi, mi pare più correttamente. Quindi anche per me l’imputato , usata questa parola nel senso in cui il legislatore la usa sia nell’articolo 197 sia nell’articolo 210 , può assumere alcune volte l’ufficio di teste : e quelle volte sono quelle in cui il processo è già stato definito con sentenza irrevocabile ( per cui a rigore non ci troviamo più di fronte a un imputato ma ad un ex-imputato).
Disc.- Grazie del chiarimento ; e procedo con un’altra domanda: se l’imputato, pur non potendo assumere l’ufficio di testimone, può fare dichiarazioni, melius, può accettare di sottoporsi alle domande delle parti e del giudice, nelle cause di cui all’articolo 12comma 1lett.a, le cause che ci è piaciuto chiamare al calor rosso, debbo a maggior ragione pensare che l’imputato possa fare dichiarazioni nelle cause al calore blu anche nei casi in cui non potrebbe essere obbligato ad assumere l’ufficio di teste. Ragiono bene?
Doc.- Benissimo; e se mi permetti il bisticcio di parole ti dà ragione nelle conclusioni da te prese il sesto comma dell’articolo 210 , che recita: “ Le disposizioni dei commi precedenti si applicano anche alle persone imputate in un procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12, comma 1,lett.c) o di un reato collegato a norma dell’articolo 371, comma 2, lettera b), che non hanno reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato. Tuttavia a tali persone è dato l’avvertimento previsto dall’articolo 64, comma 3, lettera c) e, se esse non si avvalgono della facoltà di non rispondere, assumono l’ufficio di testimone (…)”. Come dire l’imputato può fare ,sì, dichiarazioni,melius sottoporsi all’esame, nelle cause al calore blu , ma solo accettando di assumere l’ufficio di teste
Disc.- Una cosa non riesco ancora a capire bene. Leggo l’articolo 197 e vi trovo tutte le cose che si sarebbero potute ricavare a contrario dall’articolo 197, da noi prima sottoposta ad esame. E ciò mi sta bene: quod abundat non vitiat. Però non capisco il disposto della sua lettera b.
Doc.- Perché?
Disc. Perché da esso sembrerebbe dedursi che non possono assumere l’ufficio di teste “ le persone imputate in un procedimento connesso ecc.ecc. “ salvo che abbiano fatte dichiarazioni sui fatti altrui e salvo che il procedimento sia stato già definito con sentenza irrevocabile” – questo mentre invece dall’articolo 210 or ora letto risulta che pure le persone imputate in un procedimento connesso , che non hanno fatto dichiarazioni su fatti altrui e il cui procedimento non è stato definito con sentenza irrevocabile , possono assumere l’ufficio di teste : non vi è una contraddizione in ciò?
Doc.- Effettivamente vi è ; e per eliminarla bisogna interpretare l’articolo 197 restrittivamente, cioè come se dicesse : Non possono essere assunti coattivamente come testimoni ecc.ecc. Insomma il legislatore ha pasticciato un po’.