Enciclopedia giuridica del praticante

 

Lezioni di procedura penale

Lezione I : L'iter di un procedimento penale a....volo d'uccello

E' utile allo studioso, per comprendere i discorsi che andremo a fare sui vari istituti del procedimento penale, avere almeno un'idea di massima su come questo si svolge.

Per darla possiamo partire dal “esposto”, che lo studioso trova nella sezione seconda del libro ( Doc A1 ) : é una piccola mostruosità giuridica ( come se ne trovano tante nella “pratica” ) : non é una denuncia ( e tanto meno un esposto ) perché in esso ci si premura di fare quella richiesta di “procedere all'azione penale” che qualifica e caratterizza l'atto di querela ( vedi l'articolo 336 e, nella sezione seconda del libro , la formula sub I ) e non si presenta come una querela perché é intitolato “Esposto penale” . Comunque sia, ed é questo che qui importa, é uno dei tanti atti - denunce, referti, querele ecc. - di cui parla il codice all'inizio del suo libro quinto dedicato alle “Indagini preliminari e all'udienza preliminare” e che hanno la funzione di veicolare una “notizia di reato” al Pubblico Ministero e alla Polizia Giudiziaria. I quali, sì, possono “prendere notizia dei reati di propria iniziativa” ( art. 330 ), ma di solito si muovono dietro l'input di un atto ( appunto, una denuncia, un referto...) che li “notizia” di un reato commesso.

Qual'é il primo passo che il P.M. ( Pubblico Ministero ) compie, una volta che ha acquisito una “notizia di reato” ? La risposta ce la dà l'art. 335 : il primo passo é l'iscrizione della “notizia” in un registro che si chiama appunto “Registro delle notizie di reato” e che si trova in ogni Procura della Repubblica.

Tale iscrizione deve essere comunicata dal P.M. “ alla persona alla quale il reato é attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori (solo) ove ne facciano richiesta”( co. 3 art. 335 ).

L'iscrizione della “notizia” é fatto importante perché da esso decorre il termine entro cui il P.M. deve decidere se archiviare ( la notizia ) oppure se esercitare l'azione penale ( art. 405 ). Tale termine però può essere prorogato ( vedi nella Sezione seconda, il “Doc.D” e il “Doc.E” ).

E se il P.M. non decide né di archiviare né di esercitare l'azione penale ? In tal caso la sua ulteriore attività diventa “inutilizzabile”, per il disposto del co.3 art. 407, che recita : “Salvo quanto previsto dall'articolo 415 bis, qualora il pubblico ministero non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati”.

Ma come si esercita l'azione penale ? Si esercita “formulando l'imputazione”, cioé facendo sapere quale reato si vuole addebitare all'indagato. La “formulazione dell'imputazione” deve necessariamente essere espressa nel contesto di una “citazione a comparire davanti al giudice” come avviene nel processo civile ? No, al contrario, ciò avviene solo eccezionalmente nel “decreto di citazione” davanti al giudice monocratico ( art. 550 ) e al Giudice di Pace ( art. 20, non del codice di procedura p. , ma del D. L.gs 28 agosto 200 n. 274 ) ; di norma, però, la formulazione dell'imputazione avviene, o in presenza e quando già l'imputato é davanti al giudice

( caso del giudizio direttissimo – art. 451 co. 4 ) o nella richiesta al GIP di un decreto di condanna ( art. 460, lett.b), o in quello “invito a presentarsi” per rispondere a un interrogatorio ( vedi l'art. 375 e in particolare l'ultima parte del suo comma tre ) che é necessariamente propedeutico ( per il primo comma art. 453 ) a una richiesta ( fatta dal P.M. al GIP ) di “giudizio immediato” ( cioé di giudizio effettuato, omettendo l'udienza preliminare ) o, in fine, in una richiesta sempre al GIP di “rinvio a giudizio”( richiesta che dà l'input al GIP per fissare la c.d. “udienza preliminare – art. 416).

A questo punto però é meglio lasciare parlare il codice e più precisamente il suo articolo 405, perché dalla lettura di questo lo studioso potrà avere subito un quadro abbastanza chiaro delle strade che si aprono al P.M., una volta iscritta nel Registro la “notizia”.

L'articolo 405 recita : “Il pubblico ministero quando non deve chiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale formulando l'imputazione, nei casi previsti nel titolo II ( che si riferisce all'istituto della “Applicazione pena su richiesta” – chiarisco subito che tale caso non é stato da me menzionato più sopra, perché la richiesta di “applicazione pena”, salva rarissima avis, avviene, ed è logico, quando già l'imputazione é formulata ), nel titolo III ( che si riferisce al giudizio direttissimo ), nel titolo IV ( che si riferisce al giudizio immediato ), nel titolo V ( che si riferisce al procedimento per decreto ) ovvero nella richiesta di rinvio a giudizio ( di cui all'art. 516 )”.

Ma ritorniamo all'iscrizione della “notizia” nel “Registro”. Una volta che questa é avvenuta, si apre la possibilità al P.M. di compiere , per accertare il reato, le “indagini preliminari” ( ben inteso, di compierle usando dei poteri concessigli dal libro quinto del codice – artt. 326 ss -, ché, naturalmente, indagini, il P.M., al pari di qualsiasi privato, può compierle in ogni momento ). Anche il difensore ( sia dell'imputato sia delle altre “parti private” di cui agli artt. 74 e ss ) naturalmente può avere interesse a svolgere investigazioni sui fatti che sono o possono ( art. art. 391nonies ) diventare oggetto di un procedimento penale e il legislatore lo agevola in ciò concedendogli dei poteri, che il privato non ha ( ad esempio, il potere di ottenere dalla Pubblica Amministrazione dei documenti – art. 391 quater ) - questo dal momento in cui ha ricevuto “l'incarico professionale “ ( co.1 art. 327bis ), anche se, poi, anche lui dovrà aspettare l'iscrizione della “notizia” per compiere quegli atti che richiedono “l'autorizzazione o l'intervento dell'autorità giudiziaria” ( art. 391 nonies ) - atti che sono tutt'altro che pochi ( ad esempio, tu, difensore puoi, sì, chiedere informazioni, ma se l'interrogato si rifiuta di risponderti, dovrai passare la palla al P.M. - v. co. 10 art.391bis -; tu,difensore, puoi, sì, entrare in luoghi non aperti al pubblico , ma solo su “autorizzazione del giudice” - vedi art 391 septies ).

Torniamo alle indagini preliminari del P.M., e chiariamo subito una cosa : il fatto che egli possa fare delle indagini non significa che debba farle : le farà solo se lo riterrà necessario per prendere le sue decisioni ( alla denuncia di un'estorsione é allegata la lettera estorsiva : perché fare indagini se il reato risulta documentalmente provato ?!) - solo l'interrogatorio dell'imputato non potrà mancare, come vedremo, a meno che il P.M. decida di procedere per uno di quei reati minori per cui é ammessa la richiesta di decreto penale ( artt. 453 ss ) o la citazione diretta davanti al giudice ( artt.549ss) o anche decida di procedere per un reato per cui l'imputato é stato colto in flagrante ( caso in cui però, dir il vero, un interrogatorio dell'imputato c'é sempre – anche se un interrogatorio subito a ridosso del giudizio - dato che questo va preceduto dalla convalida dell'arresto e nel contesto della convalida il Giudice interroga l'imputato – vedi gli artt. 449 ss ). Non va neanche detto che il P.M. potrà chiedere l'archiviazione senza procedere all'interrogatorio del persona indagata ( anche se, a dir il vero, potrebbe non mancare un interesse dell'indagato ad avere, invece dell'archiviazione, una sentenza che, prosciogliendolo con formula ampia, metta una pietra tombale sull'accusa ( art.648 ) : infatti il decreto di archiviazione potrebbe successivamente essere revocato ( art. 414 ), essendo il P.M riuscito successivamente a raccogliere quelle prove che prima gli mancavano – ma proprio questo il legislatore non vuole : che l'indagato profitti di una difficoltà del P.M., che può essere superata, per carpire una sentenza di proscioglimento ! ).

Dunque siamo arrivati al punto in cui il P.M. può essere costretto, dalla necessità di vederci chiaro sui fatti, a fare delle indagini. In tal caso deve sobbarcarsi da solo il peso di queste ? No, nell'espletarle può contare sulla collaborazione della Polizia giudiziaria ( che, si badi, già prima dell'iscrizione della “notizia di reato” aveva , sia pur limitati, poteri di indagine, e che, dopo tale iscrizione, se li trova potenziati ). Il rapporto tra P.M. e Polizia giudiziaria é paritario ? No, é un rapporto di subordinazione della Polizia al P.M.. Ciò risulta dall'art. 337, che recita : “Il pubblico ministero dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria che, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa secondo le modalità indicate nei successivi articoli”.

Di grande rilievo, tra gli atti che la Polizia può compiere di sua iniziativa, é quello della privazione della libertà di una persona colta nella flagranza ( art. 382 ) di un reato ( artt.380 ss ) o che, indiziata di un reato ( grave ), sia sospetta di darsi alla fuga ( c.d “fermo di indiziato di delitto – fermo che , sì, per il primo comma dell'art. 384, deve essere disposto dal P.M., ma che , per il secondo comma dello stesso articolo, può essere attuato anche dalla Polizia “ qualora il P.M. non abbia ancora assunto la direzione delle indagini”).

Però anche se il Legislatore non lega le mani alla Polizia e le concede di compiere degli atti di sua iniziativa, Egli, almeno per i più incisivi di tali atti ( un sequestro, un arresto....) adotta la cautela di subordinarne l'efficacia alla loro “convalida” da parte della Autorità Giudiziaria ( particolarmente importante é la convalida dell'arresto o del fermo, su cui in altra parte del libro ci soffermeremo ).

Ma alla persona sottoposta alle indagini non viene concessa nessuna possibilità di influire su di esse ( ad esempio, chiedendo che venga eseguita un'ispezione, sentita una data persona...) e di controllare la loro regolare esecuzione ( ad esempio, di controllare la regolare esecuzione di una perquisizione o di un sequestro ) ?

Certo che sì, che , sia pure in ristretti limiti, tale possibilità le viene concessa. . Infatti per l'articolo 367, la parte, sia pure, non direttamente, ma solo tramite il suo difensore “ ha facoltà di presentare memorie e richieste scritte al pubblico ministero”.

Si dirà : ma perché la parte possa interagire utilmente col P.M. occorre, in primo luogo, che sappia qualcosa sull'andamento delle indagini ( se non sa che Tizio ha detto A, come può pensare di chiedere che venga sentito Caio in grado di smentire A ? ), in secondo luogo, occorre ( proprio perché, come ora abbiamo visto, non può interloquire direttamente col P.M.) che abbia un difensore : il legislatore le permette di conoscere qualcosa sull'andamento del processo ? le affianca un difensore a che l'assista ?

Rispondo alla prima domanda. Una completa informazione della parte potrebbe essere chiaramente controproducente per il buon esito delle indagini e pertanto questa informazione viene data alla parte solo a conclusione delle indagini ( vedi l'art. 415bis in generale, vedi in particolare il comma 5 dello stesso articolo 415bis e il comma 3, nella sua ultima parte, dell'articolo 375, che al P.M. impongono ( sul punto é esplicito, per il “giudizio immediato”, il primo comma dell'articolo 453), prima di decidere di trarre a giudizio l'indagato , il suo interrogatorio – ben inteso un interrogatorio funzionale a permettergli un'utile difesa , cioé un interrogatorio in cui gli vengono esposti gli elementi su cui si basa l'accusa in modo che lui possa contrastarli ( sul punto vedi, oltre l'ultima parte del comma tre art. 375 , sopratutto il primo comma dell'art. 65), quindi non un interrogatorio diretto solo a permettere al P.M. di acquisire elementi utili per le sue indagini (interrogatorio, peraltro, certamente legittimo e previsto dall'art. 375 e in particolare dalla prima parte del suo terzo comma ). E' poco, ma é anche vero che i difensori della parte sono ammessi, come subito vedremo, a partecipare a certi atti e a leggersi i relativi verbali – e, se sono intelligenti, da ciò possono ben trarre utili elementi per orientare la loro attività difensiva.

E veniamo all'assistenza di un difensore. Naturalmente l'indagato ( o chi sospetta di venire indagato ) può nominarsi un difensore di fiducia quando sa dell'iscrizione di una “notizia di reato” a suo carico ( e anche prima ).Vero é che potrebbe non nominarlo , per ignoranza ( dell'avvenuta iscrizione della “notizia di reato” o del suo diritto ad essere assistito da un difensore) o per sue difficoltà economiche. Il legislatore si fa carico di tale eventualità e impone al P.M due “atti informativi” : la “informazione di garanzia” e la “informazione sul diritto di difesa”.

Con la prima, prevista dall'articolo 369, il P.M., indica “ alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa” “le norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto e la invita a esercitare la facoltà di nominare un difensore”. Vero é che questo atto di informativa, può non essere fatto, anzi, non deve essere fatto all'inizio delle indagini , ma “ solo quando il P.M. deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere” ( idest, un interrogatorio, una individuazione di persona, un confronto, un'ispezione....) - questo a tutela sopratutto della privacy della parte ( dato che , nell'immaginario del pubblico, la informazione di garanzia si é venuta trasformando in un'affermazione di colpevolezza ).

Con la “informazione sul diritto di difesa”, prevista dall'art. 369bis, il P.M. fa “ alla persona sottoposta alle indagini la comunicazione della nomina del difensore d'ufficio” ( naturalmente quando non risulta un difensore di fiducia). Tale comunicazione va fatta “al compimento del primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere”- quindi non obbligatoriamente “prima del compimento di un atto ecc”. - invece obbligatoriamente tale comunicazione dovrà essere fatta prima di tale atto quando esso consiste in un interrogatorio ( vedi meglio il primo comma dell'art. 369bis ).

Con ciò abbiamo accennato ai diritti che spettano all'indagato. Ma a questo punto lo studioso mi domanderà : perché parli sempre di indagato e non di imputato ? Risposta : perché il Legislatore vuole ( art. 60 ) che la qualifica di “imputato” sia riferita solo alla persona contro cui il P.M., concluse le indagini, può formulare l'accusa di aver commesso il reato, con la convinzione di poterla vittoriosamente sostenere in giudizio, il che accade quando a tale persona – e qui cominciamo ad usare le parole dell'articolo 60 - “ é attribuito il reato nella richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena a norma dell'art. 417 comma 1, nel decreto di citazione diretta a giudizio e nel giudizio direttissimo”. Peraltro l'art. 61 estende “alla persona sottoposta alle indagini preliminari”, nel primo comma, “i diritti e le garanzie dell'imputato” e, nel secondo comma, tout court “ogni altra disposizione relativa all'imputato salvo che sia diversamente stabilito”.

Dunque il Legislatore riconosce all'indagato dei diritti ( anche nella fase delle indagini preliminari ) ; e al suo difensore non riconosce dei diritti ? Chiaramente non può non riconoscerli. E in effetti li riconosce, oltre che nel già visto articolo 121 : nell'articolo 103 ( intitolato significativamente “Garanzie di libertà del difensore”), vietando intercettazioni e controlli sulla corrispondenza tra i difensori e i loro assistiti, vietando perquisizioni e ispezioni nei loro uffici ( vedi meglio il contenuto dell'articolo in questione ), nell'art. 356, riconoscendo al difensore il diritto di partecipare ( senza però preavviso ) ad alcuni atti ( come le perquisizioni), nell'articolo 364, riconoscendo al difensore il diritto di assistere ( qui con diritto al preavviso ) ad altri atti ( come gli interrogatori, le ispezioni, le individuazioni di persone, i confronti a cui “la parte ha diritto di partecipare”), infine, nell'art. 366, riconoscendo al difensore il diritto di esaminare ed estrarre copia dai verbali degli atti a cui ha diritto di assistere ( verbali che a tal fine debbono essere depositati in cancelleria per un dato tempo ).

Abbiamo visto, sia pure sommariamente, i diritti che il legislatore riconosce all'indagato e al suo difensore.

Ma riconoscere tali diritti servirebbe ben poco se non ci fosse chi, di tali diritti, garantisse l'osservanza. Ecco perché il Legislatore introduce, tra i protagonisti delle indagini preliminari, il GIP ( giudice delle indagini preliminari ); i cui compiti risultano dall'art. 328, che recita: “ Nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del pubblico ministero, delle parti private e della persona offesa dal reato, provvede il giudice per le indagini preliminari”.

Infatti, il Legislatore non permette al P.M. di compiere di sua sola iniziativa certi atti particolarmente “gravi” e con ciò lo costringe a chiederne il compimento ad altra Autorità : appunto al GIP. E il legislatore, così come non vuole rimettere alla sola volontà del P.M. il compimento di un atto, ch'egli reputa necessario per l'accusa, così non vuole far dipendere dalla mera volontà del P.M. il compimento di un atto che la parte ritiene necessario per la sua difesa ( ad esempio il sequestro di un documento, il cui esame può provare l'innocenza dell'indagato ) e pertanto concede alla parte di richiedere, pur nella negativa del P.M, tale atto al GIP.

Tra gli atti che vanno richiesti al GIP meritano particolare menzione, le richieste di misure cautelari e le richieste di “Incidenti probatori”.

Per quel che riguarda le misure cautelari dispone l'articolo 291, che recita : “Le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice competente ( che, durante la fase delle indagini preliminari, é il GIP ) gli elementi su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate”. ( Ma abbiamo già visto che un'importante eccezione al principio che una persona può essere privata della libertà personale solo per atto di un giudice, é dato dalla possibilità della Polizia di operare un arresto in flagrante e dalla possibilità del P.M. e della Polizia di operare il c.d. “fermo” ).

Sull'incidente probatorio dispone l'articolo 392, dando la possibilità, sì, di anticipare alla fase delle indagini preliminari atti che di per sé dovrebbero essere compiuti nel dibattimento, quando un ritardo potrebbe portare all'impossibilità di compierli ( almeno utilmente ), però con una procedura che dia quelle stesse garanzie che dà la procedura dibattimentale: quindi, in primis: possibilità per le parti di conoscere “tutti gli atti di indagine compiuti” dal P.M. se la “richiesta” da lui parte ( vedi c.2bis dell'art. 393 ); “assunzione delle prove” con le forme stabilite per il dibattimento ( vedi comma 5 art.401 ) ; e, fondamentale garanzia, con la direzione del procedimento da parte del GIP. Esempi di casi in cui si può chiedere l'incidente probatorio ? Eccoli : “l'assunzione della testimonianza di una persona, quando vi é fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata al dibattimento per infermità o altro grave impedimento” ( lett.a co.1 art. 392 ); “una perizia, se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato é soggetto a modificazione non evitabile”. ( lett.f co 1 sempre dell'art. 392).

Dell'importante funzione di “filtro” che ha il GIP rispetto alle richieste del P.M. di portare al pubblico dibattimento l'imputato, parleremo subito dopo aver accennato a un importante incombente, che grava il P.M. una volta che ha concluse le sue indagini.

E infatti concluse le indagini ( meglio, scaduto il termine entro cui le indagini potevano essere svolte, ancor meglio, “prima della scadenza” di tale termine ), il P.M. - “ se non deve formulare richiesta di archiviazione” e se non intende chiedere un decreto penale ( artt. 459 ss ), o il giudizio immediato (artt. 453 ss ) o la citazione diretta (artt.549ss) - deve ( per l'art.415bis) “notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore” ( e in alcuni casi anche alla parte offesa, vedi meglio co. 1 dell'articolo citato) “avviso della conclusione delle indagini preliminari”. Ma il P.M. non si deve limitare a informare le parti della conclusione delle sue indagini, deve anche contestualmente informarle di alcuni loro diritti e porle in grado di esercitare questi utilmente.

Ecco infatti quel che recita sempre l'art. 415bis citato nei suoi commi due e tre :

“L'avviso contiene la sommaria esposizione del fatto per cui si procede, delle norme che si assumono violate, della data e del luogo del fatto, con l'avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate é depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia.

“ L'avviso contiene altresì l'avvertimento che l'indagato ha facoltà, entro il termine di venti giorni di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore, chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Se l'indagato chiede di essere sottoposto ad interrogatorio il pubblico ministero deve procedervi”.

In base alle “difese” avanzate e alla prove prodotte dalle parti il P.M. deciderà quale delle cinque strade seguenti imboccare : 1) richiesta di archiviazione ( se non l'ha già presentata), 2) richiesta di decreto penale ( se non l'ha già presentata); 3) richiesta di giudizio immediato ( se non l'ha già presentata );4) citazione diretta ( se non l'ha già fatta); 5) richiesta di rinvio a giudizio.

Tutte queste strade ( salvo quella della citazione diretta ) possono essere sbarrate da un “no” del GIP : I -“No, io GIP nego a te, P.M., il decreto penale – vedi co. 3 art.459- libero tu di portare a giudizio l'imputato per altra via”; II- “No, io GiP , ti nego il giudizio immediato – v. co 1 art. 455 - libero tu di portare a giudizio l'imputato per altra via”; IIIA- “No, io GIP ( con questa mia ordinanza) ti nego l'archiviazione : tu devi proseguire nelle indagini (co.4 art.409)” oppure IIIB“Ti nego l'archiviazione, tu devi formulare l'imputazione ( co 5 art. 409)”; IV- “No, ti nego ( con questa mia sentenza di non doversi procedere ) il rinvio a giudizio : questo rinvio lo potrai ottenere solo se sarai in grado di dimostrare che sono sopravvenute o scoperte “ “nuove fonti di prova” ( artt. 434 ss)”.

I “no” sub I e sub II vengono pronunciati dal GIP de plano, cioé senza sentire le parti; e in effetti da questi “no”, anche se errati, non possono derivare gravi conseguenze. I “no” invece sub III e sub IV, date le gravi conseguenze di un errore del giudice ( meno gravi nel caso sub III, ma sempre gravi ) vanno pronunciati in udienza. Un'udienza celebrata, nel caso sub III, nelle forme dell'art.127 ( v. co 2 art. 409 ) , quindi senza la presenza del pubblico e senza la presenza necessaria del p.m. e dei difensori , e, nel caso sub IV, celebrata nelle forme di cui agli artt. 420 e ss ( che contemplano la presenza necessaria del P.M. e dei difensori ).

Chiarito tutto questo vediamo come prosegue l'iter nel caso di “procedimento ordinario” ( “ordinario” in contrapposizione ai procedimenti, per decreto penale, per giudizio immediato, per direttissima, per giudizio abbreviato e per “applicazione della pena su richiesta”, che sono considerati dal Legislatore “procedimenti speciali” e sono disciplinati nel libro sesto del codice – vedi il titolo che tale libro porta ).

Primo passo del P.M. sulla strada che porta a quella “udienza preliminare” che caratterizza il procedimento ordinario : il deposito ( ai sensi del co 1 art. 416 ) nella cancelleria del GIP della “Richiesta di rinvio a giudizio” .

Però il P.M. non si limita a depositare la richiesta, provvede anche ( v. co 2 art.416 ) a che sia trasmesso al GIP il “fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari” ( per questi si pensi a un verbale di convalida dell'arresto o a un verbale di incidente probatorio ).

Qui va attirata l'attenzione dello studioso sulla “documentazione relativa alle indagini espletate”. Infatti il Legislatore impone ( vedi gli artt. 357, 353 ), sia alla Polizia Giudiziaria sia al P.M. di far verbale, se non di tutte, di quasi tutte le attività di indagine da loro svolte. Perché? Perché il giudice del dibattimento possa farsi un'idea,

leggendo tale documentazione, su come sono andati i fatti ? Assolutamente, no: il Legislatore vuole che il giudice, entrando nell'aula dibattimentale, sia assolutamente vergine da ogni idea preconcetta ( non vuole che accada, come accadeva invece sotto il vigore del Codice Rocco, che il giudice tenga udienza avendo tra le pagine del codice un foglietto in cui ha già scritta, in base ai verbali di testimonianze, ispezioni ecc. trovati nel fascicolo, la sentenza : il difensore si sgola, ma a che serve? é difficile far cambiare al giudice l'idea che, soletto soletto, si é fatta ). Ma si dirà : questo pericolo ( di un giudice che si presenta al giudizio con una sentenza già fatta ) non esiste anche per il GUP ( giudice dell'udienza preliminare) ? Sì, certo che esiste anche per lui tale pericolo, ma é un pericolo che va accettato, per ragioni di economia processuale ( se al GUP non si permettesse di leggere il verbale in cui sono state raccolte le dichiarazioni di Caio, si dovrebbe far venire Caio all'udienza del GUP per escuterlo, ma allora il processo davanti al GUP rischierebbe di prendere troppo tempo) .

Allora, se non é per permetterne la lettura al giudice, perché mai il Legislatore pretende che Polizia e P.M. facciano verbale degli interrogatori, delle ricognizioni, delle ispezioni, insomma dei più importanti atti da loro fatti ? Per due motivi. Primo motivo, per dare efficacia a quell'arma che é la “contestazione” : al dibattimento il P.M. - ( e anche se qui ci riferiamo al P.M. il discorso potrebbe essere esteso a tutte le parti processuali, dato che, come vedremo, tutte le parti processuali possono visionare il fascicolo del P.M. e sulla sua base fare delle contestazioni ) - potrà contestare efficacemente al teste Rossi “ Tu nella fase delle indagini preliminari hai detto bianco, perché ora dici nero?” solo se non potrà sorgere il dubbio che anche nelle indagini preliminari il teste Rossi abbia detto nero – quel dubbio che la possibilità di una defaillance nella memoria del contestante potrebbe far sorgere ma che la verbalizzazione esclude. Secondo motivo ( dell'imposizione da parte del Legislatore della verbalizzazione ) : evitare che non emergano quegli elementi negativi per la accusa a cui le indagini hanno condotto: il teste Rossi ha detto che il colore dell'auto da lui vista era bianco, ciò che non conforta la tesi accusatoria : il P.M. si potrebbe guardare bene dal fare emergere tale elemento al dibattimento, ma in tal caso, se tale elemento risulta dal verbale, lo potrà far emergere la difesa.

Ma cerchiamo di non perdere il filo del discorso : eravamo arrivati al momento in cui il P.M. ha fatto pervenire nella cancelleria del GIP ( che ora si trasforma in GUP, giudice dell'udienza preliminare ) la sua richiesta di rinvio a giudizio e il suo fascicolo. A questo punto la palla passa al GUP, il quale deve fissare la data dell'udienza preliminare e tenerla – artt. 420 ss . Finita l'udienza, il GUP dovrà decidere se pronunciare una sentenza ( non di proscioglimento, ma ) di non doversi procedere oppure se emettere un decreto di citazione davanti al giudice del dibattimento ( vedi primo comma art. 424 ).

Poniamo che opti per questa seconda alternativa. Emesso il decreto il GUP ha espletate tutte le sue incombenze ? No, l'articolo 431 ancora gli impone di “provvedere nel contraddittorio delle parti alla formazione del fascicolo per il dibattimento”. Perché “ nel contraddittorio delle parti”? Perché è molto importante quel che si mette nel fascicolo, di cui stiamo parlando, infatti i documenti inseriti nel fascicolo per il dibattimento possono essere letti dal giudice prima del udienza dibattimentale ( e quindi bisogna stare attenti a che essi non siano tali da permettere al giudice di formarsi quell'idea preconcetta sulla soluzione da darsi alla causa, di cui più sopra abbiamo parlato ) , ma non é questo il solo pericolo che un'errata formazione del fascicolo può portare : infatti di tali documenti ( e solo di tali documenti ) può essere data lettura nel dibattimento ( vedi co.1 art. 511) e su tale lettura si può fondare la motivazione della sentenza : quindi, se nel fascicolo fosse inserito il verbale che riporta le dichiarazioni di Rossi, e Rossi non fosse comparso al dibattimento , il giudice potrebbe essere tentato di evitare il rinvio necessario per escuterlo, dando semplicemente lettura delle sue dichiarazioni – così come accadeva sotto il Codice Rocco e come il Legislatore dell'attuale codice non vuole che accada .

Ecco perché il legislatore fa ( nell'art. 531 ) un elenco preciso degli atti che possono essere inseriti nel fascicolo, ecco perché Egli vuole che il fascicolo sia formato nel contraddittorio delle parti.

Una volta formato il fascicolo, il Giudice può dire davvero di aver svolto tutti gli incombenti a lui spettanti. E la palla passa al cancelliere il quale deve provvedere a inviare i due fascicoli, quello del P.M. e quello per il dibattimento, il primo, alla segreteria del P.M., il secondo, alla cancelleria del giudice del dibattimento.

Termina così la fase delle indagini preliminari e inizia quella degli atti preliminari al dibattimento ( artt. 465 ss)- fase questa che il processo ordinario ha in comune con il giudizio immediato e il giudizio per citazione diretta.

In questa fase grava sulle parti ( PM e difensori ) un importante incombente : il deposito della “lista”. Infatti per il primo comma dell'articolo 468 “Le parti che intendono chiedere l'esame di testimoni,periti, o consulenti tecnici devono, a pena di inammissibilità, depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con la indicazione delle circostanze su cui deve vertere l'esame”. Perché “sette giorni prima”? Per permettere alla controparte di portare già al dibattimento le controprove sulle circostanze indicate nella “lista” ( “Risulta dalla lista che tu, P.M., vuoi provare “bianco”, ebbene io, difensore ho dei testi che possono provare “nero” e, avendo avuta la possibilità di leggermi la tua “lista” sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, sono in grado di portare questi testi davanti al giudice per questa data senza chiedere nessun rinvio dell'udienza”).

La parte che deposita la lista deve indicare, così come si fa nel processo civile, anche le persone che vuole siano esaminate ( sulle circostanze, nella lista, indicate ) ? No, essa può presentarle direttamente al giudice del dibattimento. Se dubita, però, che tali persone compaiano spontaneamente all'udienza, può chiedere al Presidente del tribunale ( o della Corte di Assise ) di essere autorizzato a citarle ( cosa che gli darà modo di ottenere, poi, la loro comparizione coattiva, qualora esse spontaneamente,davanti al giudice, non compaiano ).

Può il presidente rifiutare l'autorizzazione ? Sì, ma solo nel caso si tratti di “testimonianze vietate dalla legge” o “manifestamente sovrabbondanti”. E infatti, ed é cosa che va subito ben chiarita, spetta al giudice del dibattimento ( e non al presidente ) decidere quali prove vanno ammesse e quali, no. Ed é questa una decisione che, naturalmente, il giudice prende in limine litis : subito dopo che : si é controllata ( art. 484 ) “la regolare costituzione delle parti”; che eventualmente si sono trattate ( art. 491 ) delle “questioni preliminari”; che é stato dichiarato aperto il dibattimento ( art. 492) e P.M e difensori hanno “indicato i fatti che intendono provare e chiesta l'ammissione delle prove”( art. 493 ) - il giudice ( che presiede al dibattimento ) “provvede con ordinanza all'ammissione delle prove”- così stabilisce l'incipit dell'art. 495.

Provvede come ? Chiaro, applicando l'art. 190 comma 1 e 190bis ( vedi sempre il primo comma art. 495 ) - cosa per cui egli potrà fare quel che invece il presidente non poteva fare : ad esempio, escludere una prova testimoniale ( non solo se “sovrabbondante”, ma anche se ) superflua o irrilevante o non ammettere un documento perché “illecitamente acquisito”.

Dopo la decisione sulle prove, inizia l'istruzione dibattimentale ( art. 496 ) : prima si assumono le prove del P.M., poi quelle della parte civile e del responsabile civile, per ultime quelle dell'imputato.

Ben può essere che le risultanze dell'istruttoria facciano risultare, il fatto addebitato all'imputato, diverso da “ come é descritto nel decreto che dispone il giudizio” ; in tal caso “il P.M. modifica l'imputazione e procede alla relativa contestazione” ( vedi meglio l'art. 516 ); e ben può essere che le risultanze istruttorie facciano “emergere un reato connesso a norma dell'art. 12 comma 1lett.b ovvero una circostanza aggravante e non ve ne sia menzione nel decreto che dispone il giudizio” ( art. 517 ) : in tal caso il P.M.”contesta il reato e la circostanza” ( vedi meglio l'art. 517 ). Sia nel caso previsto dall'art. 516 sia in quello previsto dall'art.517, “l'imputato può chiedere un termine a difesa” ( art. 519 ). E se nel corso del dibattimento”risulta a carico dell'imputato un fatto nuovo non enunciato nel decreto che dispone il giudizio” ? In tal caso il P.M. “procede nelle forme ordinarie” ( quindi iscrive, la “notizia di reato” così ricevuta, nel Registro di cui sappiamo ecc.ecc. ) - vedi meglio gli artt. 518 e 519.

Qui facciamo stop, lasciando le altre cose da dire alla restante parte del libro.