Enciclopedia giuridica del praticante

 

Le prove civili

Lezione 7: Divieto di una pronuncia di non liquet.- Onere della prova

Disc.- Non sempre le parti saranno in grado di offrire al giudice prove “buone”, voglio dire, prove in grado di permettergli di vedere chiaro nei fatti che costituiscono la materia del contendere. Che fa allora, il giudice? dice alle parti, la cosa non mi é chiara, non liquet, e quindi nulla decido?

Doc.- Certamente, no; e questo per due motivi.

Perché ciò farebbe sorgere il rischio che le parti risolvano la loro controversia con la forza (mentre “ante omnia, ne cives ad arma veniant”!); perché, almeno nella maggior parte dei casi, ciò sarebbe un modo ipocrita di non decidere, in quanto in realtà lascerebbe il bene conteso, e quindi la vitoria nella controversia, nelle mani di uno dei contendenti (forse di quello a cui le prove davano meno ragione): Tizio rivendica l’immobile di cui Caio ha il possesso: le prove latitano: il giudice, ragioniamo ab absurdo, pronuncia una sentenza di non liquet: é chiaro che é come se egli desse la palma della vittoria a Caio.

Pertanto anche nel caso di incertezza sull’esistenza o inesistenza del fatto A, il giudice dovrà pronunciarsi, dichiarando comunque o esistente o inesistente A. Per cui se il giudice applicherà la regola secondo cui, nell’incertezza, A va ritenuto inesistente, ben si potrà dire (riferendoci all’esempio prima introdotto) che Tizio (il quale ha interesse a che A sia ritenuto esistente) correrà il rischio (di rigetto della sua pretesa) in caso di mancata prova di A, e, viceversa, se il giudice applicherà la regola contraria, secondo cui, nell’incertezza, A va ritenuto esistente, sarà Caio (che, invece, ha interesse a che A sia ritenuto inesistente) a correre il rischio (di un rigetto della sua pretesa) nel caso di mancata prova dell’inesistenza di A . Chiaro?

Disc.- Abbastanza. Ma, allora. dire, che Tizio corre il rischio della mancata prova dell’esistenza di A, é come dire che Tizio ha l’onere di darsi da fare per far avere al giudice la prova dell’esistenza di A e lo stesso, mutatis mutandis, va ripetuto per Caio (se il rischio della mancata prova dell’inesistenza di A gioca contro di lui, egli avrà l’onere ecc.ecc.).

Doc.- Hai capito benissimo: é così.

Disc.- Ma se é così, il Legislatore dovrà ben dire, già all’inizio del processo, anzi prima che il processo inizi, su quale parte verrà a ricadere l’onere probatorio, di modo che questa possa ricercare con calma le prove, che le permetteranno di assolverlo. Il Legislatore fa questo? detta delle regole da cui risulta quale parte deve assolvere tale onere?

Doc. Sì, le detta o meglio cerca di dettarle, nell’articolo 2697 del Codice Civile; il quale recita: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio, deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. - Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si é modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.

Da qui la distinzione tra “fatti costitutivi”, il cui onere di prova incombe all’attore (melius, a chi fa valere il diritto) e di “fatti impeditivi”, “modificativi”o “estintivi”, il cui onere di prova compete al convenuto (melius, a chi nega il diritto).

Disc. A me sembra che il criterio dato dal legislatore per determinare quale parte ha l’onere di provare un fatto, sia un criterio del tutto logico: é logico, invero, che, se si raggiunge nel processo la certezza sul fatto A (metti, stipula tra Tizio e Caio di un contratto) in ragione del quale il Legislatore riconosce il buon diritto di Tizio a X verso Caio; il permanere di un incertezza sul fatto B (metti, un incapacità di intendere e di volere di Caio, metti, una remissione del credito ….), che porterebbe a escludere tale diritto, non può impedire al giudice di dichiarare l’unico elemento certo risultante nel processo, cioé l’esistenza del diritto di Tizio.

Doc.- Quel che tu dici é suggestivo, ma, a guardar bene, erroneo: sarebbe giusto se effettivamente la considerazione, che porta il Legislatore a riconoscere il diritto X a Tizio, fosse “Esistendo il fatto A, é giusto riconoscere il diritto X”; ma in realtà tale considerazione va così articolata “ Esistendo il fatto A e non esistendo il fatto B é giusto riconoscere ecc.,ecc.”. Per cui non si può dire che il giudice, quando ha accertato semplicemente il fatto A, abbia già accertato il fatto che costituisce (alias, dà ragione dell’esistenza de) il diritto X: in altre parole, é una deformazione del pensiero legislativo, dire che A (il contratto) é il fatto costitutivo del diritto X: in realtà a “costituire” (alias, a far venire ad esistenza) il diritto X sono sia l’esistenza di A (stipula del contratto) sia la non esistenza di B (metti, remissione del debito nascente dal contratto).

Disc. E allora?

Doc.- E allora per stabilire su quale parte incomba l’onere probatorio, se tocchi a Tizio provare l’esistenza di A o tocchi a Caio provare l’inesistenza di A, bisogna prima domandarsi quali possano essere le considerazioni, che potrebbero portare il Legislatore a gravare Tizio dell’onere di provare A, invece di gravare Caio dell’onere di provare non-A.

E queste considerazioni secondo me possono essere solo due e possono essere così formulate.

Prima: io, Legislatore, gravo Tizio dell’onere di provare A in considerazione del fatto che per Tizio é più facile provare A di quel che non sia per Caio provare non-A. Infatti io, legislatore, debbo ottenere che le sentenze siano basate sulle migliori prove, ora il fallimento di Tizio nell’onere impostogli (di provare l’esistenza di A) mi darà una prova (dell’inesistenza di A) migliore della prova (dell’esistenza di A) che potrebbe darmi il fallimento nella prova (dell’inesistenza di A) che potrei chiedere a Caio (forse che tutti noi non siamo portati a dedurre con tanta più sicurezza che un fatto non esiste quanto più facile sarebbe stato darne la prova all’interessato se effettivamente fosse esistito)?

Disc. Fai un esempio.

Doc.- Un esempio te lo suggerisce il brocardo “negativa non sunt probanda”: dovendo scegliere se imporre a Tizio la prova positiva di un fatto (la prova che A esiste) o a Caio la prova negativa di un fatto (A non esiste) si deve optare per la prima alternativa, infatti la prova dei fatti positivi é molto più facile di quella dei fatti negativi.

Disc. Ti sei spiegato abbastanza: passa alla seconda considerazione: quale parte porta, questa, a gravare dell’onere probatorio?

Doc.- La seconda considerazione porta a gravare dell’onere della prova del fatto A la parte, che aveva la possibilità di precostituirla, quando, il fatto A (pensa a un contratto) é venuto ad esistenza .

Disc. Perché questo?

Doc.- Perché questo pungola le persone ad essere diligenti e preveggenti quando stipulano un contratto o, più generalmente, pongono in essere un atto (ad esempio, un pagamento) da cui derivano per loro degli effetti giuridici. E tale preveggenza permetterà al giudice di un futuro processo di avere dei fatti (di causa) prove più chiare e affidabili (e non abbiamo visto che é interesse dello Stato che i processi vengano definiti in base a prove chiare e non a prove incerte?).