Lezione IV – Breve commento agli articoli che prevedono
la nullità del matrimonio.
Disc. Prima di passare a commentare, sia pure brevemente, gli articoli che prevedono le varie cause di “nullità”, dimmi, a proposito del matrimonio, si ha da parlare di nullità o di annullabilità?
Doc. In certi casi si deve parlare di annullabilità (ad esempio in caso di matrimonio celebrato in stato di incapacità naturale di un coniuge, o per un errore di cui questi sia rimasto vittima), in altri casi di nullità (ad esempio nel caso del matrimonio del bigamo e in genere in tutti i casi di matrimonio celebrato con violazione degli “impedimenti” posti a tutela dei boni mores e dell’ordine pubblico), in altri ancora si deve addirittura parlare di inesistenza (ad esempio in caso di matrimonio celebrato davanti a un ufficiale di stato civile falso e di cui i coniugi conoscono la falsità – ché se non la conoscessero il matrimonio sarebbe perfettamente valido - v. melius l’art.113).
Disc. Ma hanno rilievo pratico tali distinzioni tra annullabilità, nullità e inesistenza del matrimonio?
Doc. E certo che sì: in caso di nullità e di inesistenza l’azione non si prescrive, in caso di annullabilità, invece, sì. In caso di matrimonio annullato o dichiarato nullo, si riconoscono dei diritti ai coniugi in buona fede e ai figli che ne sono il frutto (come vedremo meglio parlando degli articoli 128 e segg.), in caso di inesistenza, invece, no.
Disc. Chiarito il punto, passiamo al commento dell’articolo 117, che recita.
“Il matrimonio contratto con violazione degli articoli 86, 87 e 88 può essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo e attuale.
Il matrimonio contratto in violazione dell’articolo 84 può essere impugnato dai coniugi, da ciascuno dei genitori e dal pubblico ministero. La relativa azione di annullamento può essere proposta personalmente dal minore non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età. La domanda, proposta dal genitore o dal pubblico ministero, deve essere respinta ove, anche in pendenza del giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso sia stata accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale.
Il matrimonio contratto dal coniuge dell’assente non può essere impugnato finché dura l’assenza.
Nei casi in cui si sarebbe potuta accordare l’autorizzazione ai sensi del quarto comma dell’articolo 87, il matrimonio non può essere impugnato dopo un anno dalla celebrazione.
La disposizione del primo comma del presente articolo si applica anche nel caso di nullità del matrimonio previsto dall’articolo 68”.
Doc. Come subito balza agli occhi, l’articolo distingue le ipotesi di matrimonio contratto per violazione degli articoli, 86 (matrimonio del bigamo), 87 (matrimonio incestuoso), 88 (matrimonio dell’attentatore alla vita del “coniuge dell’altra”), dall’ipotesi di cui all’art.84 (matrimonio del minore). E infatti, nelle prime tre ipotesi (tutte relative a violazione di “impedimenti” posti a tutela dei boni mores e dell’ordine pubblico) diversa che nella quarta é la natura dell’invalidità (che é quella della nullità nelle tre prime, e della annullabilità nella quarta) e, in particolare, la legittimazione a farla valere.
Disc. E infatti vedo che, sì, tanto nelle prime tre ipotesi quanto nella quarta é concessa la legittimazione (a impugnare) ai coniugi e al pubblico ministero, ma poi, ecco la diversità, mentre nelle prime tre ipotesi, la legittimazione é concessa anche agli ascendenti e a “tutti coloro che abbiano per impugnare un interesse legittimo e attuale”, nella quarta ipotesi, la legittimazione viene riconosciuta solo ai “genitori” (e non si parla più di ascendenti e di persone che abbiano ad impugnare un interesse ecc. ecc.).
Ecco, allora, la prima domanda che ti voglio porre: chi può dire di avere un “interesse legittimo e attuale” all’impugnazione?
Doc. Io direi che può dirlo chi, dall’esistenza del matrimonio, vede affermato un suo obbligo o negato un suo diritto, quando dell’adempimento dell’obbligo già é stata avanzata pretesa e dell’esercizio del diritto sono già attuali i presupposti.
Disc. Abacadabra: fai chiarezza con un esempio.
Doc. Il matrimonio di Caio e Caia é nullo perché incestuoso: Caio muore e Caia chiede di concorrere all’eredità in danno dei fratelli di Caio: a questi va riconosciuto lo ius impugnandi.
Disc. Ma tale tua interpretazione é davvero molto restrittiva: in base ad essa, i figli del primo matrimonio, non potrebbero (almeno prima che divenga attuale un loro diritto alla successione o agli alimenti) impugnare il secondo matrimonio del bigamo: quindi dovrebbero assistere impotenti allo scandalo del padre, che si é creato una nuova famiglia. E lo stesso può ripetersi per la moglie, ben s’intende, la moglie del primo matrimonio
Doc. Nulla impedisce ai figli di fare un esposto al pubblico ministero che, se lo riterrà fondato, potrà, lui, sì, proporre impugnazione. Quanto alla moglie, essa senz’altro ha diritto all’impugnazione; e, anche a prescindere dal dettato dell’articolo 124 (che espressamente gliela riconosce) l’avrebbe anche adottando l’interpretazione del comma primo da me proposta: infatti il secondo matrimonio nega e offende il suo diritto alla fedeltà di Caio nei suoi confronti.
Disc. Leggo nel secondo comma che la “azione di annullamento può essere proposta personalmente dal minore non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età. La domanda, proposta dal genitore o dal pubblico ministero, deve essere respinta ove, anche in pendenza del giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso sia stata accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale”.
Ora, io comprendo che il Legislatore possa non ritenere più opportuno, rimettere ai genitori e al pubblico ministero la decisione sull’annullamento del matrimonio, quando “vi sia stato concepimento o procreazione”: tali eventi infatti creano problemi di così grande delicatezza, che necessariamente essi vanno rimessi solo alla decisione del coniuge – però,ecco il punto, il coniuge, non minorenne, ma che ha raggiunto la maturità necessaria per affrontare tali problemi delicati. Più in genere mi pare assurdo rimettere la decisione, sulla proponibilità e/o proseguibilità dell’azione di annullamento di un matrimonio, a chi si é ritenuto tanto immaturo da non poter decidere se contrarlo: infatti mi pare che occorra lo stesso grado di maturità sia per decidere se fare un atto sia per decidere se disfare un atto: per cui se Caio é ritenuto immaturo per la prima decisione, deve essere ritenuto immaturo anche per la seconda decisione.
Doc. L’assurdità da te denunciata effettivamente ci sarebbe, se la norma dovesse essere interpretata come tu credi. Senonché così, interpretata non deve essere.
Cominciamo a porre alcuni punti fermi.
Primo, da nulla risulta che il coniuge possa proporre personalmente l’azione di annullamento anche se minorenne: anzi la lettera della legge é tale da far pensare che l’azione dal coniuge “può essere proposta personalmente” solo quando egli ha raggiunto la maggiore età: infatti l’avverbio “personalmente” usato dal Legislatore sarebbe pleonastico, se, dall’incipit del secondo comma (e precisamente dal riferimento ai “coniugi” tout court, senza distinguere se maggiorenni o minorenni), si dovesse dedurre che il coniuge, maggiorenne o minorenne che fosse, potesse proporre personalmente l’azione.
Secondo punto fermo: da nulla risulta che il coniuge, quando é ancora minorenne, possa rinunciare alla proponibilità dell’azione di annullamento: quello che unicamente risulta, dall’ultima parte della disposizione da te citata, é che il giudice (se il coniuge diventa maggiorenne, se egli dichiara di voler mantenere in vita il vincolo ecc.ecc.) “respinge” la domanda proposta dai genitori o dal pubblico ministero: non risulta da nulla, che tale sentenza di rigetto pregiudichi la proponibilità dell’azione del coniuge una volta raggiunta la maggiore età. E proprio questo va ritenuto, sia per evitare l’assurdità da te prima denunciata sia per evitare la contraddittorietà di ammettere, da una parte, il coniuge diventato maggiorenne a esercitare l’azione, dall’altra, di privarlo di tale azione...... al raggiungimento della maggiore età (in seguito al rigetto di una domanda da altri proposta!).
Quindi, anche interpretando alla lettera la norma e ritenendo che il giudice (in caso di raggiungimento della maggiore età da parte del coniuge, in caso che questi abbia dichiarato ecc.ecc.) debba rigettare con sentenza la domanda del p.m. e dei genitori, non c’é necessità di ritenere, che tale sentenza bruci l’azione di annullamento (per cui effettivamente si dovrebbe credere che la dichiarazione del coniuge minorenne di mantenere in vita il vincolo produca, sia pure indirettamente, la sua rinuncia all’azione di annullamento). Tuttavia anche l’interpretare la norma come se la dichiarazione del minore di voler mantenere in vita il vincolo (o l’evento del concepimento ecc.), non implichi rinuncia all’azione, ma solo produca il rigetto e l’estinzione del processo, non é soddisfacente.
Disc. Perché mai?
Doc. Per avere il “perché” devi partire dalla considerazione del disposto dell’articolo 126, che recita: “Quando é proposta domanda di nullità del matrimonio, il tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; può ordinarla anche d’ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti”.
E’ chiaro che, la possibilità data al giudice di disporre anche d’ufficio la separazione, mira chiaramente ad impedire che, una inconsulta convivenza voluta dall’inesperienza e impulsività di un coniuge minorenne, porti a complicazioni nella già aggrovigliata matassa creata dalla nullità del matrimonio; ora non sarebbe assurdo togliere tale possibilità al giudice solo perché il minorenne..... dichiara di voler mantenere in vita il matrimonio?
Disc. E allora?
Doc. Allora, sia pure forzando la lettera della legge, si deve ritenere che il giudice, adito dal p.m. e dai genitori, non chiuda il processo (con una sentenza di rigetto) una volta che é intervenuta la dichiarazione del minorenne (o il concepimento ecc.), ma semplicemente lo sospenda, conservando nonostante tale sospensione il potere di ordinare la separazione dei coniugi.
Disc. E’ un po’ forzata tale interpretazione.
Doc. Sì, ma perché é molto pasticciato il testo legislativo!
Disc. Un’ultima domanda sull’art.117: quando la norma, nell’attribuire la legitimatio ad impugnandum, parla di “coniugi”, si riferisce anche al coniuge in malafede, anche a Caio che ha impalmato Caia dopo aver assassinato il suo coniuge (art. 88), anche a Caia che consapevolmente ha contratto un secondo matrimonio (art.86), e così via?
Doc. Sicuramente, sì.; anche il coniuge in malafede, il coniuge-assassino, il bigamo (…), ha un legittimo interesse a essere liberato da un matrimonio, che lo mette al centro della disapprovazione sociale, e tale interesse é meritevole di tutela, se non altro perché coincide con l’interesse pubblico (all’eliminazione di un matrimonio fonte di scandalo e di turbamento nella società).
Disc. Passiamo ora all’articolo 119, che recita: “Il matrimonio di chi é stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo se, al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato, ovvero se la interdizione é stata pronunciata posteriormente ma l’infermità esisteva al tempo del matrimonio. Può essere impugnato, dopo revocata l’interdizione, anche dalla persona che era interdetta.
L’azione non può essere proposta se, dopo aver revocata l’interdizione, vi é stata coabitazione per un anno”.
Doc. Quindi, la nullità del matrimonio può essere dichiarata per infermità mentale, solo se vi sia stata una sentenza che abbia dichiarata, per tale infermità, l’interdizione; poco importa che tale sentenza sia stata pronunciata prima o dopo il matrimonio.
Disc. Ma se pronunciata dopo il matrimonio, la sentenza deve pur sempre aver accertato che l’infermità esisteva al momento del matrimonio.
Doc. E’ così, grazie della precisazione.
Disc. - E se un coniuge, al momento del matrimonio, non era interdetto, ma beneficiava di una “amministrazione di sostegno” (artt.404 ss)?
Doc. In tal caso riterrei che occorra vedere se il giudice tutelare – che per l’art.411 co.4 “può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizione di legge per l’interdetto si estendano al beneficiario” - abbia ritenuto, o no, di escludere in questi il potere di contrarre matrimonio: se sì, il matrimonio dovrà considerarsi nullo.
Disc. La norma limita lo ius impugnandi al “tutore, al pubblico ministero, e a tutti coloro che abbiano un interesse legittimo”. Quanto all’espressione “tutti coloro che abbiano un interesse legittimo” essa é sostanzialmente eguale a quella già incontrata nel corpo dell’art.117 (manca il riferimento all’attualità dell’interesse, ma ciò va attribuito evidentemente a un lapsus del legislatore), cosa per cui, penso, valgano per essa le osservazioni già fatte commentando l’art.117. Non capisco, però, perché, né gli ascendenti né i genitori, a cui pur l’art. 117 conferiva espressamente lo ius impugnandi, nell’articolo 119 non siano neanche nominati.
Doc. Non lo capisci perché parti da un presupposto erroneo, che cioè l’omissione del riferimento all’attualità dell’interesse sia semplicemente dovuta ad un lapsus: non é così: tale omissione si deve invece ritenere voluta dal legislatore, proprio per controbilanciare l’esclusione dei genitori e degli ascendenti dalle persone a cui espressamente è riconosciuto lo ius postulandi: io, legislatore, non attribuisco espressamente a te, genitore, a te, ascendente, lo ius postulandi, ma in compenso vi tolgo, quell’impedimento all’esercizio di tale diritto, rappresentato da “l’attualità dell’interesse a impugnare”.
Disc. Passiamo all’esame dell’articolo 120 che recita: “Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio.
L’azione non può essere proposta se vi é stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali”.
Doc. Permettimi di cominciare il mio commento un po’ da lontano; ma ciò é necessario per bene impostare le questioni che fa nascere l’interpretazione, non solo dell’articolo 120, ma anche degli articoli 122 e 123.
Più precisamente dobbiamo partire dalla considerazione che lo Stato ha un chiaro interesse a che i matrimoni, celebrati dai suoi ufficiali di stato civile, siano, come si suol dire, “fortunati”: che le famiglie a cui dan vita siano famiglie felici e armoniose.
Disc. Ciò é evidente: un vecchio detto suona: se le famiglie sono felici, le città sono felici, se le città sono felici, tutta la nazione é felice.
Doc. E come é evidente questo, é anche evidente che lo Stato subordina la celebrazione del matrimonio al consenso dei nubendi perché ritiene che, questo consenso, sia un indice favorevole della buona riuscita del matrimonio stesso: se Caia e Caio – questo é in buona sostanza il ragionamento del legislatore - sono contenti di sposarsi, ciò significa che essi, valutati i pro e i contro, valutate le qualità dell’uno e dell’altro, giudicano che il loro matrimonio sarà felice, e quale migliore giudice di loro sul punto, dal momento che loro, meglio di tutti gli altri, conoscono le rispettive qualità e la rispettiva situazione e, al contrario di tutti gli altri, possono farsi guidare da una guida sicura: il loro cuore?
Disc. Non é proprio così.
Doc. Non é per nulla così, ma nel nostro mondo occidentale queste sono le idee che sono venute a predominare e da cui il legislatore si lascia condizionare. Tale essendo il ragionamento, che ispira la nostra Legge, diventa logico che Essa ritenga invalido il matrimonio quando le facoltà dei nubendi – e mi riferisco non solo alle facoltà di raziocinio, ma anche a quelle del sentimento e della volontà – sono gravemente turbate e alterate. Caio e Caia diventano allora come un barometro guasto, che non dà più affidamento di segnare il tempo giusto: che abbiano detto “sì” all’ufficiale di stato civile, non é più indice di una riuscita del loro matrimonio: questo pertanto viene dal Legislatore ritenuto nullo – e, bada, tale viene ritenuto, anche se non é provato che Caio e Caia abbiano commesso un qualche errore sposandosi. Questo punto é interessante. Infatti vedremo, commentando l’articolo 122, che solo eccezionalmente il Legislatore dà rilievo agli errori in cui i nubendi siano caduti: se Caio si lamenta “Ho sbagliato: credevo di sposare un santa e ho sposata una donnaccia”, il Legislatore gli risponde “Peggio per te: l’hai sposata e te la tieni”, ma se Caio si lamenta “Povero me, ero ubriaco e ho sposato una donnaccia” o anche si limita a lamentarsi “Povero me, ero ubriaco”, il Legislatore gli annulla il matrimonio, e glielo annulla senza chiedergli nessuna prova, che, la sua incapacità di intendere, l’ha condotto a compiere un errore!
Disc. Ma quanto deve essere grave la turbatio di cui sono vittime Caio e Caia (o il solo Caio o la sola Caia) per dare luogo all’annullamento?
Doc. Il legislatore non lo dice; ma la logica vuole che tale turbatio, per portare all’annullamento, sia talmente grave da escludere che il “sì”, pronunciato da Caio, sia attribuibile alla sua personalità (da escludere la suitas dell’atto, direbbe un penalista): Caio, é vero, ha detto “sì”, ma quel “sì” non gli appartiene, perché l’ha pronunciato sotto l’influsso di Bacco: chi ha pronunciato quel “sì,” non é il vero Caio, impiegato perfetto, assennato nelle sue decisioni ecc.ecc., ma un altro Caio, un Caio impulsivo, senza freni, pasticcione, che porta lo stesso nome ma non corrisponde al “vero Caio”: giusto quindi che questi non resti vincolato da tale “si”.
Disc. L’incapacità di Caio quindi non va misurata con un metro oggettivo, non va misurata con riferimento alla capacità del bonus pater familias.
Doc. Chiaramente, no: il matrimonio stipulato da Caio, esperto e smaliziato matrimonialista, é annullabile anche se egli, nonostante i fumi del vino che gli ottenebravano la mente, era in grado di comprendere di più, della legge e della vita, del rustico e analfabeta Bertoldino (il cui matrimonio pur é reputato perfettamente valido): quel che importa al fine di dichiarare l’annullamento é che Caio al momento della celebrazione “non era completamente in sè”.
Disc. Dell’incapacità di intendere e di volere abbiamo parlato abbastanza, parliamo ora della violenza e dell’errore, passiamo all’art. 122, che recita:
“Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso é stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo.
Il matrimonio può altresì essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso é stato dato per effetto di errore sull’identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge.
L’errore sulle qualità personali é essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell’altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l’errore riguardi:
1) l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale;
2)l’esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio. L’azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile;
3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale;
4) la circostanza che l’altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L’azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile;
5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa del soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell’articolo 233, se la gravidanza é stata portata a termine-
L’azione non può essere proposta se vi é stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l’errore”.
Doc. Se il Legislatore, come abbiamo visto nel commento al precedente articolo, ritiene la necessità del consenso dei coniugi in quanto indice di una buona riuscita del matrimonio (in base alla considerazione che nessuno meglio dei coniugi può conoscere e valutare le rispettive qualità per cui ecc.ecc.), logica vorrebbe che il matrimonio venisse annullato qualora venisse dimostrato che un coniuge é caduto in errore – ben s’intende, non un qualsiasi errore, ma in un errore costituente la motivazione principale dell’atto: quell’errore che i canonisti dicono causam dans (in opposizione all’errore concomitante, che accompagna l’atto di volontà ma non interessa la motivazione principale dell’atto: “Credevo che Caia fosse una brava cuoca, e invece non sa cuocere neanche un uovo in padella; ma anche se avessi saputo ciò, l’avrei sposata lo stesso”).
Disc. Soprattutto qualora si dimostrasse che un coniuge é caduto in errore sulle qualità dell’altro: in fondo, se i matrimoni vanno a rotoli, é proprio perché gli sposi si sono ingannati sulle rispettive personalità. Tuttavia tale conclusione, che a noi pare logica, dalla lettura dell’articolo 122 non sembra condivisa dal Legislatore, che esclude decisamente la rilevanza dell’errore sulle qualità, salvo che in alcuni eccezionalissimi casi: perché?
Doc. Perché, ritenere la rilevanza dell’errore sulle qualità, anche se dettato dalla logica, é sconsigliato dalla difficoltà di accertare, di tale errore, l’esistenza: Caio sostiene di aver sposato Caia perché, e solo perché, la riteneva una buona casalinga: sì, ma, per cominciare, non é facile, e comunque prenderebbe una enorme quantità di tempo ai nostri già oberati tribunali, accertare se Caia é o no una buona casalinga; e soprattutto é tutt’altro che facile accertare, se l’errore, che lamenta Caio é stato veramente causam dans (perché ciò richiederebbe un’indagine nel foro interno di Caio, e come si fa?! solus Deus est scrutator cordium!).
Disc. Però il Legislatore dà rilevanza all’errore “sull’identità della persona”; e tale errore si risolve in definitiva in un errore sulle qualità: Rossi Luigi non si identifica con Rossi Carlo perché ha qualità (fisiche, psichiche, morali...) diverse: se non fossero diverse, Rossi Luigi e Rossi Carlo sarebbero la stessa, identica persona; e in fondo, se Caia vuole sposare Rossi Luigi e non Rossi Carlo, é perché apprezza di più le qualità del primo e di meno le qualità del secondo.
Doc. Questo é vero, ma é anche vero che l’errore sull’identità é, sì, un errore sulle qualità, ma, prima di tutto, é un errore sulle qualità che, facendo eccezione alla regola, di solito é accertabile con indagini che non investono il foro interno (dato che tale errore risulta di solito da scambi epistolari, fotografie et similia); in secondo luogo, é un errore che riguarda, non una sola qualità, ma un fascio, una molteplicità di qualità: Caia voleva sposare Rossi Luigi, perché alto di statura, ama la musica classica, gli piace far passeggiate, e si trova sposata con Rossi Carlo, che è bassotto di statura, ama il jazz, odia camminare ecc.: un uomo tutto diverso da quello che voleva sposare!
Disc. Ma tu, che citi così spesso i canonisti, perché non dici qual’è la soluzione da essi adottata?
Doc. Il diritto canonico dà rilevanza, oltre che all’error in persona, anche all’error qualitatis, purché questo sia redundans in personam; e, se sono riuscito a ben comprendere i ragionamenti sottili dei nostri cugini canonisti, perché tale possa essere considerato, l’errore, non solo deve essere causam dans (esempio di error causam dans dato da S. Alfonso de Liguori: “voglio sposare una nobile, quale reputo esser Tizia” - trasposto ai nostri tempi: “Voglio sposare un cittadino italiano, e per questo sposo Caio”); ma, oltre a questo, deve rispondere ad altri requisiti, che, da quel che ho compreso, mirano soprattutto a facilitare l’accertamento della effettiva principalità dell’errore: ciò mi pare soprattutto risultare evidente nel primo dei requisiti pretesi da S. Alfonso de Liguori: che cioé, la qualità erroneamente ritenuta, sia stata apposta quale conditio sine qua non: é chiaro che, quando la richiesta di una certa qualità viene espressa (cioé, non é più “nel cor celata”), la sua prova non richiede più un’indagine nel foro interno del coniuge, quindi é di molto facilitata.
Disc. Egualmente mi pare facilitato, l’accertamento dell’error qualitatis, quando si deduce che esso é frutto del dolo altrui: infatti Caia, per provare che ha contratto matrimonio perché a ciò indotta dolosamente da Caio, deve provare, non solo di essere caduta nell’errore A (metti, l’errore di credere Caio cittadino italiano), non solo che Caio ha tenuto un comportamento che l’ha indotta nell’errore A, ma che Caio ha tenuto quel comportamento proprio per indurla all’erronea supposizione della qualità A (animus decipiendi di Caio); ma, ecco il punto, se si dà effettivamente la prova (che naturalmente sarà una prova non relativa al foro interno di Caia) che Caio ad obtinendum consensum é stato costretto a indurre Caia in errore sull’esistenza della qualità A, si dà con ciò stesso la prova che l’esistenza di tale qualità per Caia era, per dirla nel gergo dei tuoi canonisti, causam dans.
Doc. Quel che dici é sostanzialmente vero, e può spiegare perché il diritto canonico ritenga (col canone 1098) la nullità del matrimonio di chi “matrimonium init deceptus dolo, ad obtinendum consensum patrato, circa aliquam alterius partis qualitatem, quae suapte natura consortium vitae coniugalis graviter perturbare potest” (di chi “celebra il matrimonio, raggirato con dolo ordito per ottenere il consenso, circa una qualità dell’altra parte, che per sua natura può perturbare gravemente la comunità di vita coniugale”). Col risultato di dare indirettamente rilevanza anche ad errori diversi da quello in persona (i canonisti citano come esempi di tali errori, diversi da quello in persona, anche se pur sempre capaci di “graviter perturbare” “consortium vitae coniugalis”, quelli vertenti su: lo stato di gravidanza ab alio, una malattia contagiosa, la tossicodipendenza, la commissione di certi delitti)
Disc. Ma il nostro Ordinamento invece al dolo non ha ritenuto di dare rilevanza.
Doc. Questo probabilmente per sgombrare le nostre aule di giustizia delle troppo sottili questioni, che affaticano quelle dei tribunali ecclesiastici. Peraltro, come vedremo parlando della separazione personale dei coniugi, molti di quegli errores in qualitate ritenuti irrilevanti per l’annullamento del matrimonio, riacquistano rilevanza per il nostro Ordinamento, se causati dal comportamento doloso dell’altro coniuge, come “causa di addebito” della separazione (art. 151 co.2).
Disc. Come dire che, ciò che si é cacciato dalla porta, lo si fa rientrare dalla finestra.
Doc. Non proprio, perché al coniuge (in buona fede), in caso di nullità, vengono riconosciuti diritti molto minori, di quelli riconosciuti al coniuge, a cui la separazione non va addebitata: lo vedremo meglio parlando del matrimonio putativo.
Disc. Ma ritorniamo all’articolo 122: non é poi vero che il nostro legislatore chiuda assolutamente la porta a tutti gli errores in qualitate: egli infatti, nel secondo comma dell’articolo in esame, riconosce l’impugnabilità del matrimonio “per effetto” non solo “di errore sull’identità della persona” ma altresì “di errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge”; e, nel successivo comma tre, elenca (sia pure in maniera chiaramente tassativa) ben cinque diversi tipi di errores in qualitate: li vogliamo conoscere meglio di quel che permette una frettolosa lettura dell’articolo?
Doc. Certo, però prima dobbiamo premettere due osservazioni di carattere generale:
Prima osservazione: la rilevanza dell’errore va esclusa se (vedi l’incipit del terzo comma) “tenute presenti le condizioni dell’altro coniuge (idest, del coniuge in errore) si accerti che (egli) non avrebbe prestato il suo consenso, se le avesse esattamente conosciute”: come vedremo, un coniuge può chiedere l’annullamento, se ignorava che l’altro era stato condannato per delitti particolarmente gravi, ma, metti che Caio sia stato condannato per un delitto politico e Caia abbia le sue stesse idee politiche, Caia non potrebbe impugnare il matrimonio, perché si dovrebbe ritenere accertato che Caia, anche se avesse conosciuto della condanna, avrebbe dato il suo consenso (questo, almeno se la condanna fosse stata già scontata; più discutibile diventerebbe il caso, se si trattasse di una condanna a molti anni ancora da scontare).
Seconda osservazione: nulla rileva, che l’errore sia stato o no indotto da un comportamento colposo o doloso dell’altro coniuge: anche se Caio non ha fatto nulla per nascondere la sua malattia, ma questa comunque era ignorata da Caia, il matrimonio é annullabile. E così, nulla rileva il comportamento doloso o colposo del coniuge in difetto: anche se qualsiasi altra persona si sarebbe accorta del difetto di Caio, e lei, no, Caia può chiedere l’annullamento.
Tanto premesso possiamo davvero cominciare l’esame dei vari errores in qualitate; e naturalmente cominciamo da quello indicato nel numero 1: l’errore sulla “esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale”.
Disc. Quindi se Caia scopre che Caio é impotente (tanto per citare un’anomalia sessuale) o omosessuale (tanto per citare una deviazione sessuale) oppure schizofrenico o diabetico (tanto per citare delle vere e proprie malattie) può impugnare il matrimonio?
Doc. Non é detto. Perché il matrimonio sia impugnabile infatti occorrono i seguenti tre presupposti:
che l’handicap, diciamo così, dell’altro coniuge esistesse già al momento della celebrazione del matrimonio;
che l’handicap fosse grave – tenendo però presente che, per essere considerato tale, non occorre che fosse tale da “impedire” la vita in comune, basta che fosse tale da renderla “intollerabile” (e senza dare a tale aggettivo una interpretazione meno elastica e benevola di quella che gli si dà nell’ambito dell’articolo 151 sulla separazione giudiziale – semmai il contrario: quel che può essere considerato doverosamente “tollerabile” nel caso di una convivenza che ha già dato luogo ad un’intimità forse protrattasi per anni, può essere ritenuto “intollerabile” nel caso tra i due coniugi non si sia ancora instaurata una consuetudo vitae). La “gravità” dell’handicap va poi esclusa quando esso é eliminabile con cure non pericolose per la salute e il cui esito positivo rientri nella normalità (ma se il coniuge handicappato si rifiuta a tali cure l’altro coniuge ha diritto alla separazione “con addebito”).
Che, come già si é detto, si accerti che, non solo il coniuge (che vuole impugnare) abbia al momento della celebrazione ignorato l’handicap dell’altro, ma che “non avrebbe prestato il suo consenso al matrimonio se lo avesse esattamente conosciuto”. Quindi il matrimonio tra Caia e Caio é perfettamente valido anche se questo é affetto da impotenza o é omosessuale, se Caia era a conoscenza di tale anomalia o deviazione sessuale: per il nostro Ordinamento il bonum prolis non rientra tra i bona del matrimonio. Tutto al contrario per il diritto canonico, l’impotenza, anche se conosciuta e accettata al momento della celebrazione, determina la nullità del matrimonio, poiché nei bona di questo vien fatto rientrare - oltre che il bonum fidei (il bene della fedeltà) e il bonum sacramenti (il bene dell’indissolubilità) - appunto anche il bonum prolis.
Disc.Passiamo ora a parlare degli errores in procedendo contemplati nei numeri, 2,3,4. Li possiamo trattare insieme dato che unica mi sembra la loro ratio; che é evidentemente data dal pericolo a cui si trova esposto il coniuge costretto a convivere con persona, le cui inclinazioni deliquenziali ignorava al momento di sposarsi.
Doc. D’accordo, possiamo fare un’unica trattazione di tali errores. Dove però non sono d’accordo con te, é nel ritenere che la ratio della nullità, indotta da essi, sia da ravvisarsi nel pericolo che corre il coniuge che ne é stato vittima: e infatti che pericolo corre Caia, se Caio é stato condannato, sì, a cinque anni, ma per un delitto politico?! La ratio della nullità piuttosto la ravviserei nel fatto che il marchio di infamia, che i precedenti penali imprimono nel coniuge “pregiudicato”, potrebbe essere fonte di imbarazzo e addirittura di difficoltà nella vita sociale per l’altro coniuge.
Disc. Comunque sia, mi pare interessante che, per escludere la nullità, non basti la possibilità anche forte che il coniuge pregiudicato ottenga nel tempo la riabilitazione, ma occorre che questa già risulti ottenuta al momento della celebrazione: evidentemente il legislatore non ritiene giusto addossare, al coniuge in errore, il rischio di una mancata concessione della riabilitazione. E ciò conforta la tesi, da te avanzata a proposito dell’errore sull’esistenza, diciamo così, di un handicap, che il semplice fatto della sua eliminabilità non esclude la nullità, a meno che la sua eliminazione non dipenda da altro che dalla buona volontà del coniuge handicappato.
Ovvio, poi, mi pare che il matrimonio non sia impugnabile fino a che la sentenza non sia passato in giudicato: fino a che non si é certi che Caio sia colpevole, é giusto che Caia sia vincolata dal matrimonio.
Doc. Non direi che, fino a che la sentenza non é passata in giudicato, Caia sia vincolata dal matrimonio. Proprio il fatto che il Legislatore fa l’ipotesi di una sentenza di condanna non ancora passata in giudicato, fa pensare che la nullità (e quindi la cessazione del vincolo) si abbia come conseguenza della semplice pendenza del processo al momento della celebrazione del matrimonio, se esso si conclude con una sentenza passata in giudicato. E ciò significa che il matrimonio ha da considerarsi invalido fin dal momento della celebrazione del matrimonio, anche se, da tale momento fino al passaggio in giudicato della sentenza, si crea una situazione di incertezza sulla sua validità (situazione che abbiamo del resto già incontrata nel caso in cui il coniuge-bigamo, convenuto per la nullità del secondo matrimonio, opponga la invalidità del primo e quindi occorra, per accertare la validità del secondo matrimonio, aspettare che passi in giudicato la sentenza che decide sulla invalidità del primo).
Disc. A questo punto ci rimane da dire sull’error in qualitate previsto dal numero 5 che recita “(l’errore sulle qualità é essenziale purché riguardi) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell’articolo 233, se la gravidanza é stata portata a termine”.
Primo dubbio: il coniuge impugnante deve ignorare lo stato di gravidanza oppure che tale stato deriva ab alio.
Doc. Deve ignorare lo stato di gravidanza o, se ne é a conoscenza, deve ignorare che é dovuto ab alio.
Disc. Secondo dubbio: si deve intendere che Caio può impugnare il matrimonio, sia che la gravidanza non sia stata portata a termine sia che sia stata portata a termine (in questo secondo caso però occorrendo il disconoscimento) oppure si deve intendere che Caio può impugnare solo se la gravidanza é stata portata a termine e lui ha effettuato il disconoscimento?
Doc. A me pare più logica la seconda interpretazione. Infatti, la ratio della disposizione de qua, non sembra essere quella di liberare Caio da Caia, perché questa si é rivelata una “donnaccia” (se infatti tale fosse la ratio, a Caio dovrebbe essere concesso l’annullamento anche qualora Caia non risultasse vergine o, peggio, risultasse madre di numerosa prole naturale), bensì la ratio sembra quella di evitare a Caio di trovarsi in famiglia un figlio, che non é il suo (problema che evidentemente non sussiste se la gravidanza non viene portata a termine).
Disc. Dobbiamo ora passare a trattare dell’altro vizio della volontà, che può invalidare il matrimonio: la violenza. L’articolo 122 contempla questo vizio nel suo primo comma recitando: “Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso é stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo”.
Nulla quaestio a proposito del “consenso estorto con violenza”. Con tale espressione il legislatore si riferisce chiaramente ai casi di violenza fisica - casi tanto facili a immaginarsi in teoria, quanto difficili a verificarsi in pratica; (e tuttavia un esempio di vis phisica si può trarre da un fatto storico: Margherita di Valois, interrogata dal celebrante se vuole sposarsi tituba - perché, innamorata del principe di Condè, non vuole andare sposa a Enrico IV -, il fratello se ne accorge e le dà sulla nuca un energico colpo che le fa abbassare la testa, ciò che viene interpretato dal compiacente celebrante come un segno di assenso). E’ chiaro che é ben difficile che un celebrante non si accorga di una violenza fisica e che accorgendosene non si rifiuti di celebrare il matrimonio.
Passiamo pertanto a parlare del consenso “determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo”.
La determinazione degli esatti confini in cui va contenuto questo secondo tipo di violenza fa nascere non pochi problemi: perché? Perché, dire che Caio ha dato il suo consenso per timore di un male, significa alla fin fine dire che Caio ha dato il suo consenso per evitare un male. Senonchè é normale che, chi si sposa, lo faccia per evitare una situazione esistenziale sentita come dolorosa (cioé sentita e quindi temuta come “male”) e per mettersi in una situazione esistenziale felice o almeno di minore sofferenza (desiderata come un “bene”); e così lo scapolone Mario si sposa per evitare il male della solitudine (per timore della solitudine), Maria, che fa la lavascale, sposa Arturo che ha la cadillac, per evitare di continuare a vivere nei bassifondi (situazione che sente e quindi teme come un “male”), e così via.
Stando così le cose si pone per il Legislatore il problema di delimitare in qualche modo i casi in cui il consenso, indotto dal timore di un male, é causa di nullità; ed Egli risolve tale problema pretendendo i seguenti requisiti del timore (a che valga come causa di nullità):
1) deve trattarsi di timore di “eccezionale gravità”. Qui si pone il problema: il Legislatore intende riferirsi, a casi in cui é di eccezionale gravità il male, che il coniuge intende evitare (prestando il suo consenso al matrimonio) o a casi in cui il coniuge, grave o no che sia il male per lui da evitare, é posseduto da un grave timore.
Oltre che la lettera della legge, anche la logica farebbe propendere per questa seconda soluzione, dato che, dovendosi accertare la libertà del volere di chi ha dato il consenso, é logico che si faccia riferimento al suo stato psichico: poco importa che Caio, come un Don Abbondio, tremi per uno stormir di foglie, quel che conta é che abbia detto “sì” mentre voleva dire “no”. Però l’esigenza pratica di evitare ai giudici il difficile accertamento degli stati soggettivi di una persona, porterebbe invece a far dipendere la dichiarazione di nullità solo dall’accertamento e dalla valutazione della gravità del male che ha indotto il timore. E farebbe pensare che proprio questa sia la soluzione adottata dal Legislatore, il fatto che egli pretenda, come secondo requisito del timore a che si possa dichiarare la nullità, che esso derivi “da cause esterne allo sposo”, cioé, per dirla con i canonisti, nasca non ab intrinseco ma ab extrinsexo.
Disc. Che significa che il timore deve nascere ab extrinseco?
Doc. Non significa certo, come lascerebbe intendere la lettera della legge, che deve derivare da “cause esterne”. E questo per la semplicissima ragione che non c’é timore che non derivi dall’esterno: anche Caio che si sposa per paura dell’inferno o per paura di essere in caso contrario perseguitato dal fantasma di suo padre, oppure – per portare un altro esempio di timore ab intrinseco, - Sempronio che si sposa per timore riverenziale (perché non sopporta i rimbrotti dello zio prete), ebbene anche loro traggono il loro timore da una fonte esterna (forse che non sono esterni, l’inferno, il fantasma, lo zio prete?).
Disc.,- E allora?
Doc. E allora deve intendersi come timore nato ab intrinseco quello che trae, almeno principalmente, la sua forza dalla particolare sensibilità e immaginazione dello sposo.
Disc. Ma il timore deve nascere da una minaccia altrui?
Doc. No, diversamente di quel che avviene nella materia contrattuale, nella nostra materia il timore può anche non essere indotto da un comportamento umano (intenzionato a produrlo): ad esempio, Caia, che si sposa in tempo di guerra con un ufficiale della forza occupante al fine di sfuggire la fame, può chiedere l’annullamento del matrimonio. Ti dico subito, però, per evitare equivoci, che quello che ti ho fatto ora, da non pochi studiosi, viene portato come esempio di matrimonio simulato. Erroneamente però secondo me, sul punto ritorneremo.
Disc. Passiamo ora a parlare della simulazione, che é prevista come causa di nullità dall’art.122,che recita: “Il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti”
Doc. Se é vero, come abbiamo visto, che il Legislatore subordina al consenso dei coniugi la validità del matrimonio, in quanto vede nel fatto, che i coniugi siano disponibili ad accettare gli obblighi che ne derivano, un indice auspicioso ch’essi sapranno sopportarne il peso e che il matrimonio durerà, se questo é vero, logica vuole che il legislatore non ritenga più valido il matrimonio quando i coniugi “verbis vel signis in celebrando matrimonio adhibitis, per usare le parole dei canonisti, consentono all’assunzione di tali obblighi, ma in realtà tali obblighi non intendono assumere.
Disc. Ma Caio e Caia possono non volere assumere tali obblighi in due diversi sensi: nel senso che essi, conoscendone l’esistenza, li rifiutano, o semplicemente nel senso che pensano che dal matrimonio derivino obblighi diversi da quelli che il legislatore vi ricollega (Alì é musulmano e crede che dicendo il suo “sì” all’ufficiale di stato civile conserverà il diritto di prendersi una seconda moglie).
Doc. Giusto, e logica vorrebbe, non solo che nella prima, ma anche nella seconda ipotesi da te fatta, il matrimonio fosse considerato nullo; tanto più che, adottando i principi che regolano la materia contrattuale, tale sarebbe considerato (nessun dubbio che i civilisti considererebbero nullo, perché viziato da un errore “essenziale” - vedi l’art.1429 - il contratto di compravendita stipulato da chi con esso intendesse assumersi solo gli obblighi del locatore o conduttore dell’immobile). Tuttavia, dalla stessa lettera della norma (che vuole che le parti “abbiano convenuto di non adempiere”), risulta certo che, per il legislatore, si ha nullità solo nella prima ipotesi da te fatta: insomma, per il Legislatore, a che si abbia simulazione, occorre che in actu matrimonii sia presente una precisa intentio delle parti di non assumere gli obblighi derivanti per legge. E in ciò il nostro Ordinamento non fa altro che seguire quello canonico che, per ritenere la invalidità, pretende che gli obblighi matrimoniali siano esclusi con “positivo voluntatis actu”; più precisamente, il secondo paragrafo del canone 1101 suona: “At si alterutra vel utraque pars positivo voluntatis actu excludat matrimonium ipsum vel matrimonii essentiale elementum vel essentialem aliquam proprietatem, invalide contrahit”(“Ma se una o entrambe le parti escludono con un positivo atto di volontà il matrimonio stesso, oppure un suo elemento essenziale o una sua proprietà essenziale, contraggono invalidamente”).
Disc. Perché mai il Legislatore accetta l’illogicità che tu hai giustamente denunciata?
Disc. Probabilmente perché ritiene che - mentre nulla esclude che la persona (il nostro buon Alì dell’esempio), che dicendo il suo “si” non intende assumere un dato obbligo per la semplice ragione che lo ignora,, poi, una volta conosciutane l’esistenza, sia capace e disposta ad accollarsene il peso (“Sì, io, Alì, credevo che la legge italiana non mi impedisse un secondo matrimonio, ma dal momento che essa così vuole, mi adeguerò e mi contenterò di una sola moglie”) - il fatto che, con un “positivo voluntatis actu”, i coniugi abbiano escluso l’assunzione di un dato obbligo, non può che far ritenere che essi ritengono le loro spalle troppo deboli per sopportarne il peso.
Doc. Ma per la legge italiana, perché ci sia nullità, occorre che i coniugi rifiutino “matrimonium ipsum” o basta che ne rifiutino solo alcuni obblighi da esso derivanti?
Doc. Logica vuole che, a ritenere la nullità, basti il rifiuto anche di un solo obbligo da considerarsi “essenziale” per il nostro diritto; e logica anche vuole che siano ritenuti “essenziali” tutti gli obblighi enunciati negli articoli, di cui l’ufficiale di stato civile é tenuto a dar lettura al momento della celebrazione del matrimonio.
Mi rendo conto che può essere ritenuta una soluzione troppo severa quella di ritenere “essenziale” ogni obbligo previsto dagli artt. 143, 144, 147; ma, una volta accettato il principio che per la nullità non occorre la c.d. “simulazione totale”, ma basta quella “parziale”, mancherebbe a noi, interpreti del codice italiano, ogni guida, se non adottassimo, per individuare la “essenzialità” di un obbligo, il criterio che ci offrono gli articoli or ora citati.
Così non é per i canonisti, i quali, per individuare lo “essentiale aliquid elementum” o la” essentialem aliquam proprietatem”, la cui esclusione rende invalido il matrimonio, possono giovarsi della elaborazione dottrinale e giurisprudenziale nata sui bona matrimonii: bonum prolis (procreazione di una figliolanza), bonum fidei (fedeltà al coniuge), bonum sacramenti (indissolubilità del matrimonio), bonum coniugum (volontà di fare il bene, fisico, psichico e spirituale, dell’altro coniuge).
Chi volesse discostarsi dalla nostra, forse troppo severa, interpretazione della Legge, dovrebbe a nostro parere ritenere almeno l’essenzialità degli obblighi che corrispondono al bonum fidei (l’obbligo di fedeltà, inteso nei limiti di cui diremo in altra sede), al bonum sacramenti (l’indissolubilità naturalmente intesa come...dissolubilità nei soli casi tassativi previsti dalla legge), al bonum coniugum.
Disc. Ma, a che vi sia nullità, occorre la simulazione di entrambi i coniugi o basta quella di uno solo: voglio dire, se il solo Caio o la sola Caia dicono “sì” con la riserva mentale di volere “no”, basta questo per rendere nullo il matrimonio?
Doc. La lettera dell’articolo in esame, farebbe concludere che per il nostro diritto occorra, per potersi parlare di simulazione, la concorde volontà di simulare di entrambi i coniugi (dato che questi, per l’articolo 123, debbono aver “convenuto” ecc.ecc.). Tutto al contrario di quel che, come abbiamo visto, dispone il diritto canonico, che, nel già citato canone 1101, si riferisce a “alterutra vel utraque pars” (una o entrambe le parti).
A me però sembra, che una tale interpretazione della legge porti a una evidente contraddittorietà nel sistema: infatti, se per l’articolo 122 basta l’errore di una parte, cioé la mancanza del consenso in una parte, per determinare la nullità, perché mai non si ritiene nell’articolo 123 che basti la riserva mentale di una parte, cioé la mancanza del consenso in una parte sola, per determinare la simulazione e quindi la nullità? Per questo saremmo tentati di ritenere l’incostituzionalità (per evidente irrazionalità) della soluzione adottata dal Legislatore (ben s’intende la soluzione adottata nell’art. 123 e non nell’articolo 122).
Disc. Dulcis in fundo: qualche esempio di simulazione.
Doc. Io ti potrei portare il caso di Caio e Caia che ioci causa si presentano all’ufficiale di stato civile, per celebrare quello che per loro é un finto matrimonio – ma questo é un caso di scuola. Più interessante, in quanto con numerosi riscontri nella realtà, é l’esempio di Dolores, che, per acquisire la cittadinanza italiana, si sposa, sì, con Beppe, un nostro connazionale, ma ben decisa a mettersi sotto i piedi gli obblighi, che l’ufficiale di stato civile con tanta solennità le legge.
Disc. Questo esempio mi sembra eguale a quello, che tu ha fatto a proposito di una volontà coartata da violenza.
Doc. No, nell’esempio che commentando l’articolo 122 ho fatto, il coniuge si decideva a contrarre matrimonio per il timore di morir di fame, invece la Dolores del secondo esempio, si decide al matrimonio semplicemente per acquisire un vantaggio.
Disc. Quindi, per stabilire se c’é simulazione o no, bisogna por mente al motivo per cui i coniugi si sono decisi alla celebrazione del matrimonio.
Doc. Per nulla: il motivo non conta nulla, o meglio, può contare solo ai fini della prova: quel che conta é l’esistenza o meno della intentio di rifiutare gli obblighi che la legge impone.
Disc. Un’ultima domanda, che però non riguarda solo l’articolo 123, ma tutti gli articoli sulle nullità prima commentati. E’ una domanda che nasce dalla constatazione del fatto che, come risulta dalla tua stessa esposizione, esistono, sì, molte somiglianze ma anche molte diversità tra il diritto della Chiesa Cattolica e il diritto dello Stato italiano: quindi é ben possibile che quel matrimonio,che il diritto canonico ritiene nullo, tale non sia per il diritto italiano; e ben può accadere che Caio e Caia, sposati con un matrimonio concordatario, si trovino nella strana e ingiusta situazione di non essere più sposati davanti a Dio e di essere invece considerati marito e moglie dallo Stato italiano. Strana e ingiusta situazione perché, se Caia ha consentito ad assumersi gli obblighi di fedeltà ecc. voluti dal Codice italiano, lo ha fatto solo nel presupposto che Caio fosse a lei unito dal vincolo sacro del matrimonio religioso: cadendo questo presupposto, non esistendo più tale vincolo, Caia ben può ritenere ingiusto essere vincolata da un obbligo di fedeltà, da un obbligo di mantenimento ecc. verso Caio,che per lei é diventato un perfetto estraneo. Dopo questa (necessariamente lunga) premessa vengo alla domanda: la legge italiana non adotta nessun rimedio per evitare tale ingiustizia?
Doc. Sì, naturalmente, un rimedio l’adotta, ma non certo quello di dichiarare la nullità del matrimonio civile nel presupposto della nullità di quello religioso (anche se questo ha motivato il consenso di Caia ecc. ecc.): non devi cioé pensare che Caia possa adire il giudice italiano, prima, per dimostrare la nullità del matrimonio religioso e, poi, per l’effetto, come noi pratici diciamo, per ottenere la nullità del matrimonio civile. No, Caia deve forzatamente battere un’altra strada: deve ottenere, prima, una sentenza dal giudice ecclesiastico che dichiari la nullità del matrimonio religioso e, poi, chiedere a un giudice italiano di rendere questa sentenza efficace per l’Ordinamento italiano. Ma questo lo vedremo meglio in altra sede.
Disc. Ora, avendo già avuta occasione di parlare degli articoli 124 e 126, passiamo alla lettura degli articoli 125 e 127.
Art. 125: “L’azione di nullità non può essere proposta dal pubblico ministero dopo la morte di uno dei coniugi”.
Art. 127: “L’azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio é già pendente alla morte dell’attore”.
Un breve commento.
Doc. Sarò breve come tu vuoi.
Il disposto dell’articolo 125 si spiega col venir meno dell’interesse dello Stato alla dichiarazione di nullità, una volta che il matrimonio, con la morte di uno dei coniugi, comunque si é sciolto.
Diverso naturalmente é il discorso per i colegittimati all’impugnazione: essi ben potrebbero avere interesse a domandare l’annullamento nonostante lo scioglimento del matrimonio (metti per contestare eventuali diritti di successione vantati dal coniuge superstite): quindi il legislatore conserva loro il potere di impugnazione.
Il disposto dell’articolo 127, si spiega, poi, con il rispetto dovuto al de cuius dagli eredi (ma non dagli altri colegittimati che conservano il potere di impugnazione!).
Disc. Dobbiamo ora parlare del così detto “matrimonio putativo”, che é previsto dall’art. 128, che recita:
“Se il matrimonio é dichiarato nullo, gli effetti del matrimonio valido si producono, in favore dei coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità, quando i coniugi stessi lo hanno contratto in buona fede, oppure quando il loro consenso é stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi.
Il matrimonio dichiarato nullo ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli.
Se le condizioni indicate nel primo comma si verificano per uno solo dei coniugi, gli effetti valgono soltanto in favore di lui e dei figli.
Il matrimonio dichiarato nullo, contratto in malafede da entrambi i coniugi, ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli nati o concepiti durante lo stesso, salvo che la nullità dipenda da incesto.
Nei casi di cui al quarto comma, rispetto ai figli si applica l’articolo 251.”.
Doc. Quindi, in deroga al principio che il contratto e in genere l’atto nullo nullum producit effectum, il matrimonio, nei riguardi del coniuge o dei coniugi in buona fede, produce i suoi effetti fino alla “sentenza, che pronunzia la nullità” (melius, fino al passaggio in giudicato di tale sentenza). Attenzione, però, ciò vale solo per gli effetti “favorevoli” e non per quelli “sfavorevoli”; e ciò significa che, se la sentenza é del 2012 e il coniuge (putativo) si é risposato, come che sia, prima, cioé metti nel 2010, il nuovo matrimonio sarà perfettamente valido, né più né meno che fosse stato contratto da persona mai sposatasi. Di nuovo attenzione: il fatto che il matrimonio continui a produrre i suoi effetti come un matrimonio valido, non significa che esso.. .sia un matrimonio valido: pertanto il problema della validità delle donazioni, fatte da un coniuge all’altro nel presupposto della validità del matrimonio, va risolto considerando che la donazione é stata fatta su un presupposto erroneo, cosa per cui, a mio modesto parere, dovrebbe ritenersi annullabile – se non si ritenesse applicabile tale soluzione, si dovrebbe almeno ritenere l’obbligo del coniuge donatario alla restituzione dei doni avuti, in base a un’interpretazione analogica dell’articolo 80 (che disciplina il problema analogo, che si presenta in caso di rottura di “promessa di matrimonio”). E ancora attenzione: la regola che il matrimonio nullo continua a produrre i suoi effetti (“fino alla pronunzia della sentenza” che tale lo dichiara) per il coniuge in buona fede, solo se a lui favorevoli, va applicata cum grano salis; esempio: esiste una norma (l’art.177) per cui, se i coniugi hanno adottato il regime di comunione, i beni da ciascuno di loro acquistati cadono in comunione, per cui di essi in buona sostanza diventano entrambi comproprietari al 50 per cento, anche se l’acquisto é stato fatto con i soldi di uno solo di loro; ebbene, il disposto dell’articolo 128, che beneficia il coniuge in buona fede solo degli effetti favorevoli del matrimonio, non può portare a ritenere che gli acquisti di Caio, coniuge in malafede, continuino a cadere in comunione, mentre gli acquisti di Caia, coniuge in buona fede, vengono a cadere solo nel suo patrimonio personale. Cioé, l’articolo 128 non può essere interpretato come se comportasse una deroga all’articolo 191, che prevede che la comunione si sciolga tra i coniugi (senza distinguere, se in buona fede o malafede!) solo “per l’annullamento” del matrimonio. Del resto se Caia vuole porre fine al regime di comunione (già in pendenza della causa di annullamento e quindi prima della sentenza che questo dichiara), il codice gliene offre il facile mezzo: chieda la separazione (come gliene dà facoltà l’articolo 126 da noi già incontrato): per l’articolo 191 la separazione produce automaticamente lo scioglimento della comunione.
Disc. Resta il fatto che Caia, appunto perché restano in piedi per lei gli effetti favorevoli e quindi il suo (eventuale) diritto al mantenimento, non dovrà restituire le somme ricevute appunto a titolo di mantenimento; mentre Caio, dovrà restituire le somme che a tale titolo eventualmente avesse ricevuto.
Doc. Sì, se Caia é in buona fede e Caio é in mala fede.
Disc. Ma quando potrà dirsi che Caia é in buona fede?
Doc. Quando ignorava l’esistenza della causa di nullità (ad esempio, ignorava che Caio era già sposato, o che aveva una disfunzione sessuale e così via) - questo, bada, facendo riferimento al momento della celebrazione del matrimonio: anche nella nostra materia mala fides superveniens non nocet: se Caia al momento della celebrazione, anno di grazia 2010, ignorava lo stato di coniugato di Caio e, poi, nel 2012, le si sono aperti, come si suol dire, gli occhi, ebbene lei e i suoi figli continueranno a beneficiare degli effetti favorevoli del matrimonio anche dopo il 2012: i figli saranno figli legittimi (ancorché concepiti quando ormai lei sapeva!), lei potrà trattenere quanto ricevuto a titolo di mantenimento ecc.: sì, hoc iure utimur.
Disc. Ma che dire del minore, dell’interdetto che si sposano pur sapendo di essere “impediti” a sposarsi?
Doc. Io direi che, pur non potendosi considerare in buona fede, dovrebbero essere equiparati nella tutela al coniuge in buona fede. Al contrario, chi si é sposato, sì, in stato di incapacità naturale, ma da lui “preordinata” (nel senso di cui all’art.92 C.P.) al fine di poi poter impugnare il matrimonio, io lo riterrei in mala fede, anche se in buona fede in actu matrimonii (e anche se il suo matrimonio dovrà pur sempre considerarsi annullabile).
Disc. Abbiamo visto che gli effetti del matrimonio putativo rispetto ai coniugi. Quali i suoi effetti rispetto ai figli?
Doc. I figli, non solo quando uno dei coniugi era in buona fede e l’altro in malafede, ma anche quando entrambi i coniugi erano in mala fede, si considerano nati nell’ambito di un matrimonio valido.
Se i loro genitori erano in malafede?
Disc. Più che giusto: loro che cosa ne possono
Doc. Questo sarebbe un ragionamento semplicistico. E infatti, adottandolo, si dovrebbe concludere che, se Mario e Mariolina, senza prendersi neanche il disturbo di simulare un matrimonio davanti all’ufficiale dello stato civile, hanno fatto all’amore e hanno dato vita a Marietto, questi dovrebbe essere considerato nato nell’ambito di un (in realtà inesistente) matrimonio (tra Mario e Mariolina). E, invece, così non é: se Mario e Mariolina non lo riconoscono come figlio o lui non ottiene una sentenza che, come figlio (di Mario e Mariolina), lo dichiari,, egli come figlio (di Mario e Mariolina) non sarà, dalla Legge, considerato – eppure, anche per lui potrebbe dirsi “Che ne può il povero Marietto ecc.ecc.”.
Disc. Passiamo alla lettura dell’articolo 129, che recita: “Quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non superiore a tre anni l’obbligo di corrispondere somme periodiche di denaro, in proporzione alle sue sostanze, a favore dell’altro, ove questi non abbia adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze.
Per i provvedimenti che il giudice adotta riguardo ai figli si applica l’art. 155”.
Giusto che Caio, anche dopo la sentenza dichiarativa della nullità, provveda ai bisogni dei figli; ma perché mai Caio deve farsi carico di provvedere ai bisogni di Caia, dal momento che ora a lei lo legano solo i (cattivi) ricordi della disavventura coniugale?! Certo Caia, in seguito all’annullamento del matrimonio, potrebbe trovarsi in difficoltà (ad esempio, se per sposarsi si fosse licenziata dall’impiego), ma perché dovrebbe essere proprio Caio ad aiutarla?! Cade una tegola in testa (alias, la nullità del matrimonio) a Caio e a Caia mentre garruli e felici se ne vanno per la strada: forse che si ritiene giusto obbligare Caio a risarcire Caia solo perchè se l’é trovata a fianco nella disgrazia?! Diverso, lo riconosco, il caso in cui Caio, ancorchè in buona fede, sia in colpa nella celebrazione del matrimonio nullo: se Caio si é sposato impotente, non sapendo di questa anomalia sessuale che pur da numerosi sintomi era rivelata, se Caio si é sposato dopo essersi per sua colpa ubriacato, se Caio pur essendo minorenne si é sposato, se insomma Caio, pur in buona fede é in colpa, giusto che risarcisca il danno. Ma se in colpa non lo é, perché deve risarcire?
Doc. Effettivamente un obbligo del coniuge incolpevole a dare all’altro delle somme, con funzione riparatoria del danno da questo subito, non si giustifica (mentre si giustificherebbe quello, sì, che fosse accollato al coniuge colpevole ancorché in buona fede, oltre che un obbligo di risarcimento del danno, sacrosanto, ma,ahimè, difficilmente dimostrabile, un obbligo di indennizzo – così come vedremo meglio in commento all’articolo che segue). Purtroppo hoc iure utimur. Ma un giudice di buon senso, potrà renderne meno iniqua l’applicazione tenendo presente che: egli “può”, ma non “deve” disporre il pagamento delle somme rateali; che egli può, ma non deve, prolungare il periodo di pagamento fino a tre anni; che la “adeguatezza” dei redditi di Caia (o di Caio, dato che nulla vieta che in stato di bisogno venga a trovarsi anche l’uomo), non va valutata in relazione al tenore di vita da lei (da lui) tenuto in costanza di matrimonio (se Caio era un principe e faceva vivere Caia da principessa, non per questo é tenuto a farla vivere da principessa, dopo che una sentenza ha dichiarato che lui e lei sono dei perfetti estranei); che l’obbligo alimentare non é dovuto (e se imposto, cessa) nel caso Caia “sia passata a nuove nozze”.
Disc. Parliamo dei figli, il capoverso dell’articolo 129, disponendo l’applicabilità dell’articolo 151 (e, quindi indirettamente, dell’art. 337 ter), comporta: che entrambi i genitori (in buona fede) esercitino la responsabilità genitoriale; che il giudice possa scegliere a quale dei genitori affidare i figli, ecc. Ma questa disposizione si applica anche nel caso uno solo dei coniugi sia in buona fede?
Doc. Chiaramente, no; lo esclude la collocazione (di certo non casuale) della norma nel solo ambito dell’articolo 129: pertanto, nel caso che Caia sia in buona fede e Caio no, a entrambi incomberà di provvedere alle spese di mantenimento dei figli (secondo le regole dettate dall’articolo 148, che a suo tempo esamineremo); ma solo al coniuge in buona fede, nell’esempio, a Caia, spetterà l’affidamento del figli e la responsabilità genitoriale.
Disc. Passiamo ora alla lettura dell’articolo 129 bis, che recita:
“Il coniuge a cui sia imputabile la nullità del matrimonio é tenuto a corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. E’ tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati.
Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio é tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio é annullato, l’indennità prevista nel comma precedente.
In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio é solidalmente responsabile con lo stesso per il pagamento dell’indennità”.
Doc. Certamente, chi, con il suo comportamento colposo o doloso, ha dato causa al matrimonio nullo (Caio, che con l’inganno ha occultato a Caia il suo stato di coniugato, Caio, che con minacce ha indotto Caia a sposarlo, e, perché no? il padre di Caia che, conoscendo la sua incapacità di intendere, al matrimonio non si é opposto....le ipotesi che si possono fare sono moltissime) é obbligato al risarcimento dei danni (eventualmente ridotto per il concorso di colpa del coniuge danneggiato). Tutto questo in semplice applicazione dei principi che riguardano ogni fatto illecito.
Disc. Quindi il coniuge in buona o mala fede che sia (dato che, come abbiamo visto, in commento al precedente articolo, anche al coniuge in buona fede, potrebbe essere imputata una colpa nella celebrazione di quel matrimonio che, invece...non si aveva da fare) e il terzo, abbia o non concorso con il coniuge, é obbligato al risarcimento.
Doc. Esatto. Però, siccome il danno, pur intuitivamente sempre esistente in caso di un annullamento di matrimonio, può essere difficilmente provabile, il Legislatore accolla al coniuge, “al quale sia imputabile la nullità”, in buona o mala fede che sia, due altri obblighi.
Primo, quello di prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, se non vi siano altri obbligati: quindi se Caia ha il padre, o essendosi risposata, il (nuovo) coniuge che può provvedere, Caio da tale obbligo é esentato.
Secondo, quello di pagare, “anche in mancanza di prova del danno sofferto”, “una congrua indennità”.
Disc. Quindi tu interpreti l’articolo come se destinatario degli obblighi, non sia solo il coniuge in mala fede, ma anche il coniuge in buona fede. Ciò mi pare contrastare con la rubrica dell’articolo che parla di “responsabilità del coniuge in mala fede”.
Doc. Così é, ma la logica impone proprio la interpretazione che ti ho detta.
Disc. E quanto al terzo? Anche lui viene gravato sia di un obbligo degli alimenti sia di un obbligo di indennizzo?
Doc. No, viene gravato solo di un obbligo di indennizzo (obbligo solidale con quello del coniuge colpevole). Il perché di tale limitazione non te lo so spiegare.